Romano Romanelli

Firenze 1882 – Roma 1968

Testa di pugile ferito • 1930

Cera, altezza 26 cm

Bibliografia: R. Campana, Romano Romanelli. Un’espressione del classicismo nella scultura del Novecento, Firenze, 1991, p.68, ill. 82b.

Figlio e nipote di scultori – e parte di una dinastia di artisti attiva ancora oggi -, Romano Romanelli inizia precocemente la formazione nello studio del padre Raffaello, modellatore inserito nel solco del verismo naturalistico della seconda metà del XIX secolo, ma da questi ben presto si distacca, sentendosi incline a un fare plastico più attento all’imporsi delle masse e dei volumi. La sua formazione sembra poi interrompersi bruscamente nel 1900, quando decide di iscriversi all’Accademia Navale di Livorno. ‘L’ambizione per l’eroismo, la sete del marinaresco…mi diedero fuoco’, scriverà anni più tardi in alcune note autobiografiche non pubblicate (Campana, 1991, p.11) denunciando così l’innata propensione al vitalismo e all’eroico che non lo abbandonerà mai. I lunghi viaggi attorno al globo e i 3 anni passati in Estremo Oriente durante il

servizio nella Regia Marina sono però l’occasione per accostarsi ai linguaggi di quelle esotiche culture figurative che, successivamente filtrati, faranno, a tratti, parte del suo linguaggio. Rientrato a Firenze, riprende la formazione seguendo le lezioni e frequentando lo studio e il salotto di Domenico Trentacoste, dal 1895 stabilitosi nel capoluogo toscano. Con il suo eclettismo neo quattrocentista, Trentacoste incontra i favori dell’ambiente legato alla rivista ‘Il Marzocco’, espressione delle correnti anti-positiviste, simboliste, idealiste, vitaliste, nazionaliste ed estetizzanti cui sono particolarmente sensibili in quegli anni alcuni settori intellettuali della città toscana in particolare e dell’Italia più in generale. A questo è da aggiungere poi lo stimolo rappresentato dalla presenza a Firenze dello scultore Adolf Von Hildebrand, sostenitore di un classicismo improntato alla compostezza compositiva e alla rigorosa plasticità, le cui teorie, contenute in Il problema della forma nell’arte figurativa, avevano ottenuto una immediata e ampia diffusione.

Indubbiamente, questo contesto dove, pur se in modo vago e non sistematizzato, si predilige una ricerca estetica che in scultura si traduce in un modellato classicheggiante e di robusta forza espressiva, è quanto Romanelli sente a lui più congeniale. È su queste istanze, infatti, che nasce la sua prima opera significativa, quell’Ercole che strozza il leone, elaborato nella seconda parte del primo decennio del secolo e presentato alla Biennale del 1910 e alla Esposizione Universale di Roma del 1911, e che sarà poi rivisto nel 1935 per essere fuso in bronzo e collocato, due anni dopo, in piazza Ognissanti a Firenze. Il gruppo scultoreo, al di là del chiaro intento simbolico, nella naturalistica strutturazione delle forme e nella grande tensione suscitata dal temporaneo equilibrio delle masse contrapposte, lascia ricadere l’enfasi plastica sulla muscolare e possente figura dell’Ercole.

Su queste basi si sviluppa tutta la successiva attività dello scultore, secondo una progressione evolutiva non lineare, dove, via via, si sedimentano e si accentuano le istanze che attraversano la cultura italiana ed europea, in particolare di area francese e tedesca, degli anni ’10 e ’20 del secolo.

Non è possibile in questa sede addentrarsi nella complessità degli spunti culturali che attraversano l’ampia produzione di Romanelli, ma ricordiamo brevemente il  sicuro neo-michelangiolismo filtrato attraverso la lezione di Auguste Rodin ed Emile Antoine Bourdelle, e il citato Ercole che strozza il leone ne è un primo significativo esempio; la compostezza e il modellato delicatamente vibrante di Charles Despiau; la sintetica volumetria di Aristide Maillol, nell”area francese; il plasticismo classicista di Georg Kolbe e la potente sintesi plastica di Ernst Barlach, in area tedesca; la ripresa della tradizione italica e romana, e, tramite questa, di quella greco-ellenistica come abbiamo indicato più sopra, che caratterizza comunque una linea di sviluppo della scultura italiana di quegli anni, e dove, in particolare, si riscontra per un certo tempo, nell’ambito di una ripresa di stilemi pre-romani, la evidente vicinanza al fare sintetico di Libero Andreotti, cui pure è legato da consolidata amicizia, per quanto riguarda l’area italiana. E poi ancora la cifra eroica di Ivan Meštrović e l’arte orientale, principalmente indiana. Sono declinazioni, echi, assonanze che si fanno più evidenti o che restano più sullo sfondo, dove la voce di Romanelli, pur sempre identificabile, diventa più presente quando il segno si fa più marcato e risentito, e il modellato di sapore arcaico e morbidamente tondeggiante, pur nella forte presenza plastica, vibra nella delicata e accorta definizione chiaroscurale, come nel caso di questa intensa Testa di pugile ferito.

Presentata nella versione in bronzo alla I Quadriennale di Roma, dove gli viene riservata una sala personale – nell’esposizione Romanelli rifiuta un offerta di £ 12.000 di una galleria d’arte (Curatorio Museo Revoltella, lettera di Romano Romanelli, 27 luglio 1943, Arch. Amm., 10.1943.4068), ma l’opera viene poi acquistata nel 1943 dal museo Revoltella di Trieste dove tuttora è collocata – la Testa è tratta, anche se non pedissequamente, dal Pugilatore ferito che l’artista ha presentato nella versione in gesso alla Biennale di Venezia del 1930 – il modello viene fuso l’anno successivo per essere destinato al Complesso del Foro Italico di Roma dove ancora è conservato -, ad evidenza ispirato al Pugilatore seduto del Museo Nazionale Romano, un capolavoro dell’arte greca riferito al periodo tardo ellenistico, ritrovato a Roma nel 1885. Quello del pugile, invero, è un tema su cui si confrontano molti scultori negli anni ’20 e ’30, essendo uno sport popolare al tempo, anche per le ovvie implicazioni ‘muscolari’ che ben si confacevano alla retorica imperante, e lo stesso Romanelli aveva modellato pochi anni prima, nel 1926, un Pugile in combattimento ritratto in piedi, presentato in bronzo in quello stesso anno alla seconda Mostra del Novecento Italiano. Di chiara ascendenza rodiniana e bourdelliana ma con tratti arcaizzanti, nel medium della cera, qui presentato, la Testa attenua una certa durezza della versione in bronzo, complice anche l’assenza di alcuni dettagli come le sopracciglia, e accogliendo più morbidamente e soffusamente la luce, lascia emergere con maggiore evidenza l’attenzione alla profonda implicazione intimista e psicologica racchiusa nel volto del pugile colto al termine del suo combattimento.

Eugenio Maria Costantini

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