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Giovanni De Min
(Belluno 1786 – Tarzo/Treviso 1859)
Merope cerca di uccidere Epito ma riconosce il figlio in tempo
Penna, biacca e inchiostro grigio su carta marrone, mm. 210 x 276
Firmato, in basso a sinistra: Giovanni De Min
Il soggetto del foglio con ogni probabilità va identificato con un episodio della vicenda della regina Merope, sposa del conquistatore dorico della Messenia, Cresfonte, narrata da Euripide e ripresa da Maffei, Voltaire e Alfieri. Il figlio di Merope, Epito, fatto fuggire da bambino al tempo dell’usurpazione del regno da parte di Polifonte, al ritorno in patria rischia di morire per mano della madre che non lo riconosce.
De Min fissa uno dei momenti chiave del teatro greco, quello dello scambio di persona, motore in grado di accellerare con un improvviso scarto lo sviluppo dell’intreccio. Per attualizzare visivamente la concitazione del dramma l’artista mette in scena figure dalla fisionomia caricata, proiettate dinamicamente nello spazio secondo l’azione loro propria, dai panneggi ridondanti e ispirati all’antico, trascinati dalla furia dei gesti.
Quasi una quinta laterale, il candelabro monumentale proietta sulla scena un’ombra che veicola più efficacemente la luce sulla figura centrale, illuminata dai rialzi a biacca. È ispirato agli assemblaggi piranesiani, riprendendo il motivo delle teste di ariete del Candelabro funerario (Parigi, Louvre) e il gruppo delle Grazie, antichità borghesiana incisa dallo stesso Piranesi in Vasi, Candelabri, Cippi (cfr. Ficacci 2000, p.638 n.813).
La solenne e scarna monumentalità dell’ambientazione, con un tronco di colonna che si erge da un podio a gradoni e la base di una statua di Ercole riconoscibile dall’attributo della pelle leonina, rimanda alle soluzioni scenografiche elaborate dagli artisti coinvolti da Canova nell’esperienza didattica dell’Accademia del Regno d’Italia a Palazzo Venezia, che De Min potè frequentare a partire dal 1809 come pensionato di Venezia assieme ad Hayez. Simile concezione dei fondali si ritrova nel foglio di Palagi del 1812 con Socrate che persuade gli ateniesi a consegnare ad Alcibiade la corona di mirto (Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio), in quello di Minardi de I Galli in Campidoglio (Roma, Accademia Nazionale di San Luca), nel dipinto hayeziano di Ulisse alla corte di Alcinoo (1814-16, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte) e in quello dello stesso De Min realizzato nel 1817 per l’Omaggio delle Province Venete in occasione delle nozze di Francesco I d’Austria con Carolina Augusta di Baviera (cfr.Gozzoli-Mazzocca 1983, p.40-42).
Pertanto si ipotizza che il disegno sia stato eseguito attorno a queste date o poco dopo il ritorno in patria che, a partire dal 1817, vedrà il pittore bellunese affermarsi come uno dei maggiori e più prolifici pittori murali del tempo (cfr.Dal Mas 1992).
Il Museo Civico di Padova conserva un disegno molto simile a quello qui presentato ma condotto a un minore grado di finitezza.
Stefano Grandesso
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