Johannes Lingelbach

(Francoforte sul Meno 1622 – Amsterdam 1674),

Vita popolare a Piazza del Popolo,

1660 circa,

olio su rame, cm 60 x 82,

provenienza: collezione avv. Giorgio Balella, Roma; Antiquario Costantini, Roma; collezione privata, Roma.

Bibliografia: Busiri Vici 1959, pp. 48-49, tav. VIII, 1-2; Burger-Wegener 1976, p. 240, cat. 36; Die holländischen Gemälde 1992, p. 254, nota 10.

Riemerso solo ora da una collezione romana, dopo la pubblicazione nel 1959 da parte di Andrea Busiri Vici e all’indomani della conferma attributiva di Catja Burger-Weneger nel 1976 (che però lo rubrica erroneamente come tavola), il grande rame di Lingelbach rappresenta, per il supporto su cui è dipinto, un unicum nella produzione fin qui nota del pittore tedesco naturalizzato olandese, di consueto consegnata alla tela o alla tavola.

Magnifico esempio di ‘bambocciata’ calata nella realtà architettonica della città eterna, la scena è collocata, con dovizia di dettagli verosimilmente tratti da un rilievo dal vero, all’interno di una piazza del Popolo restituita nella facies ante 1655, ossia nelle forme che precedono i restauri di Gianlorenzo Bernini sulla porta monumentale, realizzati su commissione di papa Alessandro VII Chigi in occasione dell’ingresso della regina Cristina di Svezia, e che dunque coincidono con l’osservazione diretta del sito quale l’artista poté esperirvi durante il suo soggiorno nella seconda metà del quinto decennio del Seicento (cfr. pianta di Roma di Antonio Tempesta, edizione dedicata a Camillo Pamphilj, 1645; Garms 1995, ad vocem). Bagnata da una luce pomeridiana, la piazza è dominata dall’obelisco Flaminio, fattovi sistemare al centro da papa Sisto V nel 1589, e dalla modesta fontana di Giacomo della Porta (detta “del trullo”, 1572), allora spostata verso Via Lata (l’attuale via del Corso) da Domenico Fontana (ora in piazza Nicosia).

In questa splendida quinta architettonica, dominata dalla mescolanza di solenne e di corrivo che tanto è apprezzata dai pittori ‘italianizzanti’, Johannes Lingelbach raffigura un repertorio di motivi di genere connessi alla vita quotidiana del popolo romano, quelli stessi che si assiepano, in molteplici varianti e sovente più fittamente, in tante sue opere, realizzate soprattutto dopo il suo ritorno nei Paesi Bassi. Da sinistra a destra, in primo piano, come in un ‘teatro della vita’ da delibare nell’insieme e nel dettaglio, vi sono presentati: una gentildonna forestiera alla quale un cavaliere mostra la piazza accanto a un questuante in azione; un cacciatore con i suoi cani di ritorno da una battuta in campagna; una scena di piccolo mercato; un innamorato che dichiara i suoi sentimenti in un muto colloquio gestuale con una fanciulla che si sporge, di nascosto, dal tipico abbaino di legno; un calzolaio intento al lavoro. Sullo sfondo, Lingelbach ritrae radi gruppi sparsi. Perditempo all’osteria, un operoso facchino, gentiluomini impegnati in conversazione, pellegrini in riposo, signore a spasso, bambini che giocano, prelati che leggono gli Avvisi di Roma affissi al muro del convento popolano la piazza. Sono figurine schizzate a corpo con pennellate tanto rapide e riassuntive quanto perspicue, che punteggiano lo spazio assolato con le testimonianze della piccola vita che nella cornice di questa bellezza si svolge quotidianamente.

La finezza esecutiva dello staffage (che nella figura elegante del cacciatore aveva suscitato in Busiri Vici l’analogia con Jan Baptist Weenix), la preziosità della tavolozza composta da grigi, rosa e aranci – amplificata dalla luminosità garantita al colore dal supporto in rame – suggerisce di individuare in quest’opera una delle prove più riuscite del Lingelbach ‘figurista’, attività per la quale, per l’appunto, il pittore si fece un nome una volta tornato nei Paesi Bassi dopo il 1650, tanto da essere chiamato a prestare i propri servizi per paesisti affermati come Meindert Hobbema, Frederik Moucheron (Houbraken 1753, pp. 145-147 et al.), per Jan van der Heyden, Jacob van Ruisdael, Jan Wijnants, Jan Hackaert, Willem de Heusch. Milita in tal senso la vicinanza delle sue figure, quel modo di tagliare in sbieco gli scorci dei visi, di ritagliare le silouette con panneggi morbidi ma eseguiti in velocità che si ritrova anche nel Lingelbach pittore di staffage per altri nel settimo decennio del Seicento.

Il dipinto è strettamente connesso, per l’identità del setting, all’olio su tela di formato più grande (cm 87 x 117,5) con Vita popolare in Piazza del Popolo, 1664 circa, della Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste di Vienna, opera con cui condivide, con una leggera ma percettibile variazione nell’angolo di osservazione, la stessa veduta urbana (Inv.-Nr. GG-803, cfr E. Mai, scheda in I Bamboccianti 1991, cat. 21.8, pp. 224-226) e con un altro esemplare, sempre ambientato a Piazza del Popolo ma con una diversa prospettiva nel punto di vista, oggi al Minneapolis Institute of Arts (già di proprietà Rothschild, oggetto delle predazioni hitleriane), in cui compare lo stesso motivo della gentildonna forestiera in visita in città.

La figura dell’innamorato che rivolge i suoi voti amorosi alla fanciulla affacciata all’abbaino, un motivo quest’ultimo che compare anche in altre opere di Lingelbach (Busiri Vici 1959, p. 49, nota 11), dovette avere una qualche fortuna figurativa, dal momento che si ritrova declinato, in una fattura un poco rozza ma pedissequa, in un’opera ancora oggi enigmatica come la Veduta di fantasia di Roma con motivi di Piazza del Popolo e di Trinità dei Monti, firmata ‘Lucas de Wael’, in collezione privata (Foto Rkd, L’Aja, cfr. Suida 1958).

Giovanna Capitelli

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