Opera non disponibile
Giulio Monteverde
(Bistagno 1837 – Roma 1917)
Bozzetto per il Monumento a Urbano Rattazzi
1882
Terracotta, cm 34 x 12,5
Firmato e datato sul piedistallo:Â G.Monteverde 1882
Il successo travolgente conquistato da Giulio Monteverde con le opere d’esordio lo portò ben presto ad essere considerato il maggiore scultore italiano del tempo, la cui grandezza fu riconosciuta anche in campo internazionale, da Vienna a Parigi a Buenos Aires. Il contrasto con la sfortuna critica successiva, dovuta al suo ruolo di artista ufficiale, è stridente. Le sue opere furono ritenute innovative per lo stile realista, ma anche per gli inediti soggetti, in grado di incarnare i miti della civiltà moderna: dal progresso come aspirazione a varcare i confini, nel Colombo giovinetto (1870, Venezia, Palazzo Giovannelli), alla scienza, con Il Genio di Franklin (1871, acquistato dal Kedivè d’Egitto) e lo Jenner che sperimenta il vaccino (1873, Genova, Palazzo Bianco). Le sue erano rappresentazioni emblematiche che si discostavano dall’allegoria classica poiché non rappresentavano l’idea astratta, ma dell’idea davano un’immagine reale attraverso la rappresentazione dell’individuo (Sborgi 1987, p.12).
Presto impegnato da grandi commissioni pubbliche e private, secondo Orlando Grosso “merito grande del Monteverde nella seconda fase della sua vita artistica è stato quello di non aver sfruttato il successo con la ripetizione dei temi romantici e di facile gradimento popolare e l’aver tentato, mantenendo intatte le più preziose virtù della tradizione, la grande scultura monumentale” (Grosso 1937, p.4). Se dunque nelle prime opere l’artista aveva espresso un “verismo nobilitato dalla tradizione dei maestri della scultura dell’Ottocento, soffusa di poesia e di intendimenti morali e per un mestiere profondo, usato con prudente equilibrio per non soverchiare, per non uccidere la parte vitale dell’opera”, successivamente aveva abbandonato la raffinatezza da museo per una “grande maniera” nobile ed elevata, coerente con la destinazione pubblica della scultura monumentale. “Nel monumento commemorativo non troviamo più l’abituale tecnica monteverdiana, ma essa si trasforma, assume ampiezza di piani, profondità di scuri, decisione rude di contorni, diviene scultura per l’aria aperta” che reclama “l’ampio respiro dell’orizzonte e la sferza della luce” (Ibidem, p.8). Anche i contenuti progressivamente dovevano corrispondere a queste scelte formali e dunque Monteverde, preconizzando la perdita di significato di tanti monumenti italiani tra future generazioni immemori, tornò al linguaggio delle idee, come nel Monumento al Duca di Galliera, innalzato a Genova nel 1896. “Non più sul piedistallo si erge il ritratto dell’uomo, ma l’allegoria, che è eterna”, scrisse il Grosso.
In questo processo la statua di Urbano Rattazzi, inaugurata ad Alessandria il 3 settembre del 1883 alla presenza del Re (”Illustrazione Italiana” 1883; Arditi-Moro 1987, p.57) e andata distrutta nel 1943 per ricavarne bronzo a scopi bellici, si collocava in una fase intermedia. Era cioè vicina ai monumenti della stagione del realismo, dove gli artisti anziché eseguire ritratti avevano cercato di rappresentare i personaggi da celebrare nell’azione caratteristica ed emblematica della loro vita.
Dunque lo statista, “non fortunato nella tempestosa sua vita politica, ma tale che la storia, quetate le passioni di parte, riconosce ormai come uno dei fattori del Risorgimento nazionale” (“Illustrazione Italiana” 1883), era colto “nervosamente ritto” in posa da oratore, durante un discorso parlamentare. Rispetto al tono più ufficiale della statua definitiva in bronzo, il bozzetto qui esposto esprime una posa disinvolta e di grande naturalezza. Sorprendente è la capacità di Monteverde di cogliere rapidamente la somiglianza dei tratti del volto comprimendo i pallini di creta con i polpastrelli. Come ha notato infatti lo Sborgi l’artista costruiva i bozzetti per aggiunte, anziché sottrazioni, di materia (Sborgi 1987, p.15).
Stefano Grandesso
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