Giulio Aristide Sartorio

Roma 1860-1932

Sfinge / Scilla e Cariddi • 1890-95 ca.

tecnica mista su carta preparata, mm 290 x 300

Monogramma GAS in basso a sinistra

Bibliografia: Scilla e Cariddi. Pubblicazione dell’Associazione della Stampa Periodica Italiana a beneficio del Patronato Regina Elena per gli orfani del terremoto, Roma 1909, illustrato al quarto di copertina; G. Barbera, Gli anni dimenticati. Pittori a Messina tra Otto e Novecento, catalogo della mostra (Messina, Museo Regionale, 1998), Messina 1998, cat. n. 80, p. 159; P.A. De Rosa, P.E. Trastulli (a cura di), Giulio Aristide Sartorio. Il realismo plastico tra sentimento ed intelletto, catalogo della mostra (Orvieto, Palazzo Coelli, 2005), Orvieto 2005, cat. n. 3, p. 17; R. Miracco (a cura di), Giulio Aristide Sartorio. 1860-1932, catalogo della mostra (Roma, Chiostro del Bramante, 2006), Firenze 2006, p. 181.

A seguito della tragedia del terremoto che nel dicembre 1908 colpì la Sicilia orientale e la Calabria meridionale radendo al suolo Messina e Reggio e che causò più di 80.000 morti, l’associazione Stampa Periodica Italiana decise di pubblicare un volume dal titolo Scilla e Cariddi, ad evocare i celebri mostri omerici inquadrati in una tradizione di creature marine che divoravano i navigatori dello stretto, i cui ricavi furono devoluti per i soccorsi e la ricostruzione delle aree distrutte.

All’iniziativa parteciparono i più celebri artisti italiani del momento fra cui Duilio Cambellotti, Leonardo Bistolfi, Adolfo De Carolis, Camillo Innocenti, Plinio Nomellini, Gaetano Previati, Ettore Tito. A Sartorio fu chiesta una tavola che potesse svolgere la funzione di copertina per l’albo in edizione economica (del volume fu stampata anche una edizione di lusso rilegata) e per la carta intestata da utilizzarsi per le occasioni di promozione.

Nel febbraio del 1908 l’artista era però già impegnato nella laboriosa commissione per la decorazione del fregio dell’emiciclo del Parlamento e fu impossibilitato a fornire agli editori di Scilla e Cariddi una tavola su commissione. È presumibile pertanto, come accadde anche per gli altri artisti coinvolti, che Sartorio abbia donato all’ente benefico un’opera già realizzata anni prima, come del resto lascia supporre anche l’affinità con Stige (1893-1895) per la composizione in tralice, quanto quella con la celebre La gorgone e gli eroi (1895) per l’utilizzo delle figure maschili riverse.

Lo stesso monogramma circolare, utilizzato raramente dall’artista, ma presente nell’opera in esame, apparso intorno al 1890 nell’Ex Libris Gabriells inciso all’acquaforte per Gabriele d’Annunzio (in A.a.V.v, Giulio Aristide Sartorio, catalogo mostra (Roma, Palazzo Carpegna, 1980), De Luca Editore, Roma 1980, cat. n. 92, p. 84) e successivamente sostituito dalla firma estesa, lascia ritenere che l’opera possa essere inserita in quell’arco cronologico che va dal 1890 al 1895 circa. Sono questi gli anni in cui Sartorio, in consonanza anche con la tendenza parnassiana e preraffaellita di d’Annunzio, tentava di creare una sorta di identità̀ ideale tra pittura e poesia che culminò nell’Isaotta Guttadauro (1886), celebre avventura editoriale che coinvolse la maggior parte degli artisti gravitanti intorno all’ambiente del Caffè Greco e che indirizzò il pittore verso le pieghe sempre più intellettuali della mitografia.

All’Isaotta Sartorio contribuì con quattro disegni: Beata Beatrice, Il biondo Astioco e Brisenna reina, Vas spirituale e Isaotta nel bosco; quest’ultima, accompagnata dai versi “Eranmi schiavi li astri in lunghe torme / e in tal regno le feste ho celebrate / de’ suoni de’ colori e de le forme”, raffigurava la donna addormentata su una nuvola in mezzo ai papaveri simbolo del sonno mentre sullo sfondo brillano gli astri “schiavi” di lei. Nell’edizione a stampa la figura e i fiori appaiono di ductus incerto soprattutto a causa della scelta di un linguaggio grafico-editoriale cui l’artista era poco avvezzo, ma in una ulteriore variante di poco successiva la composizione mostra una maggiore maturità nonché una pennellata più agile e meno descrittiva che conferisce al soggetto una certa vaghezza indefinita (cfr. Francesco Parisi, Giulio Aristide Sartorio, Fata Morgana, in A.a V.v, Il Simbolismo in Italia, catalogo mostra Padova 2011-2012, Marsilio, Venezia 2011, cat. n. 103, p. 273).  Assieme a questa versione Sartorio ne realizzò ancora una terza che venne pubblicata come tavola fuori testo nella rivista di Basilio Cascella dedita alla promozione della litografia, “La grande Illustrazione” (anno I, n. 1, 1914): il titolo Fata Morgana alludeva con ogni evidenza, per la presenza dei morti ai piedi della figura femminile, al fenomeno del miraggio frequentemente osservato nello stretto di Messina e tramandato dai Normanni che induceva nei marinai visioni di fantastici castelli in aria o in terra per attirarli e quindi condurli a morte. Del resto anche nella poesia dannunziana Morgana (illustrata da Vincenzo Cabianca), presente nell’Isaotta, il poeta faceva riferimento al miraggio piuttosto che al ciclo arturiano come si evince dai versi: Salgono scale in luminose ambagi / con inteste di fior lunghe catene. / Come navi in balía de le sirene, / ondeggiano le pendule compagi; / poi che Morgana, in dolce atto giacente / ne ’l letto de la nube solitaria, / quasi ebra di quel suo divin lavoro […].

Questa stessa composizione, che può essere ritenuta una quarta variante, si ritrova in maniera pressoché palmare nel lato destro della copertina di Scilla e Cariddi con l’aggiunta della figura dell’eroe riverso, sconfitto col volto verso la terra, in perfetta sintonia tematica con la composizione di sinistra in cui apparivano la sfinge e gli eroi, altro tema più volte riproposto da Sartorio.

La sfinge è stata associata ai miti omerici (e più recentemente al periplo di Ulisse: cfr. E. Enriquez, Ulisse, Edipo e la Sfinge: il formatore tra Scilla e Cariddi, in R. Speziale-Bagliacca (a cura di), Formazione e percezione psicoanalitica, Feltrinelli, Milano 1980, pp. 111-132), per cui è assai probabile che l’artista, profondo conoscitore delle varianti iconografiche e mitologiche di questo tema, abbia ricondotto la creatura a quanto richiesto dall’editore diversamente dalla più canonica forma dei due mostri Scilla e Cariddi.

Il soggetto della sfinge fu successivamente utilizzato da Sartorio anche nel pannello decorativo dal titolo Morte ti spegne e vita si rinnova che l’artista realizzò per la VII esposizione internazionale d’arte di Venezia del 1907 in cui una figura maschile si rivolge al demone greco di distruzione e mala sorte – nella iconografia greca che la rappresenta a guisa di leone con volto da donna e ali da uccello – circondato da eroi morti. L’artista stesso rivelò, in maniera sibillina, di essersi effigiato nelle sembianze dell’eroe in un articolo pubblicato su “Il Secolo XX” (Giulio Aristide Sartorio, Le confessioni e le battaglie di un artista, in “Il Secolo XX”, VI, 1907, pp. 619-634): “quella figura non l’ho eseguita dal vivo, sibbene da una fotografia, e la fotografia di quell’uomo fu fatta a Francavilla a Mare nel 1904”. Il riferimento era, ovviamente, a uno dei soggiorni di Sartorio presso il convento-residenza di Francesco Paolo Michetti nella cittadina abruzzese.

Nella composizione in esame, presumibilmente separata in due diversi pannelli dopo la pubblicazione – ma rese entrambe autonome pel tramite di alcune aggiunte – Sartorio fece largo uso della tecnica a monocromo in bianco e nero per la sua dimestichezza con la tecnica a grisaille che, ampiamente sperimentata nel periodo cosiddetto bizantino tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90, aggiunge ulteriore consistenza alla data proposta.

Sorprende, nella stesura del colore, soprattutto nella figura della sfinge, una personale condotta sulla superficie pittorica in guisa di segni a penna e alla maniera di una punta o bulino con cui l’artista ha “cesellato” i dettagli delle piume delle ali della Sfinge in parallelo con le lumeggiature a biacca che modellano quasi graficamente i capelli e il busto della creatura. La scelta di velare a vernice alcuni punti della composizione attesta in Sartorio il costante interesse per le sperimentazioni tecniche che lo accompagnerà durante tutta la sua attività.

Francesco Parisi

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