Giulio Aristide Sartorio

Roma 1860-1932

Ex-Libris Onorato Carlandi • 1895 ca.

Carboncino, sfumino su carta, 313 Ă— 293 mm

Iscritto in basso: “EX LIBRIS ONORATO CARLANDI”

Negli ultimi anni del secolo Sartorio si dedicò, sulla scia di una ormai diffusa moda, alla produzione di ex-libris per amici e committenti, di cui i più noti furono i tre realizzati per Gabriele Dannunzio. Questa produzione è contraddistinta dall’uso del nudo maschile, secondo una prospettiva mitteleuropea e quell’attitudine klingeriana che farà scuola anche in Italia nella produzione della grafica di piccole e medie dimensioni e che Sartorio approfondirà direttamente durante il soggiorno weimeriano, come dimostra anche la copia palmare dell’incisione di Max Klinger Das Ur-Nichts (1897) rielaborata da Sartorio per l’esecuzione dell’ex-libris “Gabrielis Nuncii «per non dormire»” (1898).

L’ex-libris eseguito per il pittore Onorato Carlandi, per i soggetti e la ricchezza compositiva – già sottolineata da Labò nel testo dedicato a questa particolare produzione dell’artista, che afferma “In tale saldezza di compagine plastica possono le allegorie vivere di tutta la lor piena vita” (Labò 1912, p. 4) – è affine compositivamente, ad esempio, ad altri dedicati a Ugo Ojetti, Enrico Federici e Maria Zernitz. Vi appaiono, infatti, gli stessi gruppi di giovani ignudi variamente atteggiati, circondati da dettagli architettonici classici e elementi naturali che preludono, pur nelle limitate dimensioni spaziali della composizione, ai più celebri e ampi cortei di figure che l’artista declinerà con successo nei cicli decorativi per la Sala del Lazio eseguito in occasione dell’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Milano del 1906 e per l’emiciclo dell’aula del Parlamento (1908).

La condotta a matita è finemente cesellata con morbidi trapassi chiaroscurali e contorni nitidi, che serviranno poi all’editore Danesi per realizzare i clichés tonali da cui venivano ricavate le stampe, non avendo Sartorio quella formazione da incisore che gli avrebbe permesso di realizzare all’acquaforte la traduzione su lastra di questi “finissimi” disegni.

La datazione dell’opera, la cui genesi è contrappuntata da alcuni disegni preparatori pubblicati nella monografia dedicata all’artista nel 1980 (TITOLO, p. 97, nn. 152-153), va ricondotta agli anni fra il 1890 e il 1895, arco cronologico in cui Sartorio presiedette l’attività dell’associazione In Arte Libertas di cui faceva parte lo stesso Carlandi e i cui membri confluiranno poi, allo scioglimento del gruppo nel 1902, nella compagine dei XXV della Campagna Romana in cui sempre Sartorio aveva un ruolo predominante: “[…] in una delle ultime escursioni quel gruppo di persone accompagnate da curiosi indumenti, quali cassette, ombrelli, cavalletti portatili, e guidate da Giulio Aristide Sartorio in quel costume mezzo napoleonico, di cui ama ammantarsi l’illustrepittore, venisse scambiato per una brigata scritturata da una società cinematografica” (Alfredo Labbati, I “Venticinque della Campagna Romana”, in “Noi e il mondo”, dicembre 1912, p. 23)

Per la figura di sinistra è lecito scorgere l’influenza di Mariano Fortuny, artista che aveva segnato lungamente gli esordi del giovane Sartorio, impegnandolo in finissimi acquerelli e scene settecentesche. La celebre incisione fortuniana La Victoria (1869), il cui successo ne decretò oltre cinque tirature fino al 1878, mostra un giovane ignudo recante in mano una statuetta della Vittoria sul Palladio, elemento analogo a quello che si ritrova sia nella mano di uno dei due protagonisti dell’ex-libris che nel coevo grande telero La Diana d’Efeso e gli schiavi di Sartorio.

La figura di schiena sulla destra, con la sola aggiunta di un cinto alato sul capo, è la stessa utilizzata nell’incisione che apre il testo autobiografico La favola di Sansonetto Santapupa, redatto dall’artista durante il periodo di prigionia nel campo di Mauthausen e apparso a puntate sulle pagine della «Rassegna Nazionale» fra il 1926 e il 1929. Rispetto all’ex-libris in esame manca la figura del fanciullo rivolto verso lo spettatore con l’idolo in mano, sostituito da racemi, mentre permane l’idea dell’astro oltre la figura che nell’illustrazione è un sole radiante anziché una stella, arricchito dal motto Ktèma eis aiei [sic]; pressoché identica è, invece, la versione della composizione utilizzata per illustrare la copertina del periodico «L’amatore d’arte» (a. II, marzo-aprile 1921), le cui uniche differenze si riscontrano in alcuni dettagli della struttura architettonica e dei festoni vegetali e, ancora, nella presenza dell’attributo del cinto alato nel fanciullo a destra. In entrambi i casi il disegno fu affidato ad uno xilografo di professione che intagliò il legno.

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