| OPERA NON DISPONIBILE
Giovanni Benedetto Castiglione (il «Grechetto»)
Genova 1609-Mantova 1664
Studi per due figure di mori
1740-50
Olio su tela, cm 53 × 48 ciascuno
L’impressionante coppia di studi, certamente tratta dal naturale, costituisce una delle rare raffigurazioni realistiche e indipendenti di negri africani nella pittura italiana di età moderna (per un quadro d’insieme, cfr. Kaplan 2010); e basterebbe la scelta di questo soggetto a situarne la creazione in un centro aperto a scambi commerciali e culturali di portata europea.
Per quanto proprio l’immediata adesione al reale e l’assenza di un contesto iconografico di riferimento abbiano potuto finora ostacolare il riconoscimento della paternità di queste due eccezionali prove, sin qui inedite, i dati più genuinamente pittorici, in particolare la sottile, incisiva grafia della pennellata e la raffinata miscela cromatica di toni bruni e argentei, parlano da soli – e inequivocabilmente, a mio giudizio – a favore del genio di Giovanni Benedetto Castiglione; peraltro, appaiono del tutto consoni alle inclinazioni del maestro genovese sia l’indagine dei caratteri fisionomici, sovente oggetto della sua produzione calcografica, sia, nello specifico, l’interesse esotico per i tipi negroidi, frequenti nel suo fortunato e distintivo repertorio di temi biblico-pastorali (valga per tutti come esempio l’estremo Viaggio dei Re Magi di Capodimonte [inv. Q 1060], firmato e datato 1663; cfr. Timothy J. Standring, in Genova 1992, pp. 156-157, n. 62). Di ulteriore conforto, infine, il fatto che un suggerimento nella stessa direzione sia stato pronunziato, indipendentemente da chi scrive, anche da Sylvain Laveissière.
Ma a trarre il nome del Grechetto fuori dal campo delle ipotesi o delle impressioni soggettive sta innanzitutto il confronto con la notevole e indecifrata Scena di sacrificio (tela, cm 43 × 75,5) resa nota da Mary Newcome Schleier (in Kunst 1992, pp. 128-129, n. 58) e successivamente riapparsa a Londra presso Christie’s (vendita 6323, 7 luglio 2000, lotto 88) (fig. 1).
Infatti, nel gruppo di offerenti sulla sinistra della composizione – e analogamente nella sua modesta replica nel Museo civico «Amedeo Lia» della Spezia (inv. 322; cfr. Andrea G. De Marchi, in Dipinti 1997, pp. 90-91, n. 32) e nei fogli preparatori della Royal Collection di Windsor Castle (inv. RL 3876; cfr. Blunt 1954, p. 39, n. 161) e di ubicazione ignota (ripr. in Kunst 1992, p. 129, fig. 58.2) – si riaffaccia il primo dei due mori in esame, e con tale precisione di dettaglio, pur nella diversità del formato terzino, da non poter dubitare del collegamento e dell’identità di mano con l’opera maggiore.
Resta da identificare, dunque, una destinazione finale altrettanto esatta per la seconda Testa (sempre che un siffatto appunto “dal vero”, dotato perciò di piena autonomia formale, abbia trovato effettivo reimpiego nel catalogo di Castiglione): per ora basti segnalare che un volto simile compare nel gruppo a destra nella Cacciata dei mercanti dal Tempio del Bowdoin College Museum of Art (inv. 1961.100.12; cfr. Shapley 1973, p. 91, fig. 166) (fig. 2), che della Scena di sacrificio condivide peraltro impostazione, dimensioni e punto di stile; e ancora, in posizione centrale, nel Viaggio di Abramo di collezione Durazzo Pallavicini a Genova, pressoché coevo (cfr. Giovanna Rotondi Teminiello, in Il Palazzo 1995, pp. 329-330, n. 186).
Quanto alla datazione dei due pendants, mi pare che non ci si possa tenere discosti dal momento esecutivo delle predette opere, collocate per consenso degli studi intorno al quinto decennio del Seicento, ovvero all’apice delle capacità espressive del pittore.
Giuseppe Porzio
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