| OPERA NON DISPONIBILE
Ettore Ferrari
Roma 1845-1929
Cum Spartaco pugnavit
1877
Terracotta, altezza 36 cm
Siglata e datata: “EF 1877”
Provenienza: Roma, collezione Bruno Mantura
Bibliografia: Bruno Mantura, Ettore Ferrari. Sculture tra il 1867 e il 1880, in Capitolium, XLIX (1974), 7-8, pp. 41-50;
Enrico Guidoni, Il gesto della Rivoluzione. Il Bruto di Ettore Ferrari e la linea “mazziniana della scultura italiana (1846-1872), in Ettore Ferrari 1845-1929, catalogo della mostra di Latina a cura di Bruno Mantura e Patrizia Rosazza Ferraris, Milano, Roma 1988, pp. 19-109; Ettore Passalapi Ferrari, Ettore Ferrari tra le Muse e la politica, Città di Castello 2005, 46-47, 58, 67-70.
Presto Ferrari avrebbe esordito nella grande scultura pubblica: prima con i monumenti destinati alla Romania del poeta Heliade Radulescu (1877) e Ovidio (1879), quindi realizzando per Venezia, a partire dal 1880, il Monumento equestre a Vittorio Emanuele II. Dovevano seguire innumerevoli opere dedicate a Garibaldi e ai protagonisti del Risorgimento. Mentre due capolavori, il Giordano Bruno a Campo dei Fiori (1887) e il Monumento a Giuseppe Mazzini eretto sull’Aventino (1902-1911), avrebbero emblematicamente chiarito la vocazione per la scultura monumentale nei suoi significati formali, come sintesi plastica articolata per masse e contrasti cromatici, e in quelli politici, capaci di innescare forti reazioni ideologiche nel pubblico del tempo.
Intanto, nel corso degli anni Settanta, Ferrari tentava di trasferire anche al piano figurativo la militanza mazziniana e repubblicana, che, dopo l’adesione al fallito tentativo insurrezionale del 1867 contro il regime pontificio, doveva vederlo impegnato sul doppio versante pubblico, come consigliere comunale e deputato, e massonico, in qualità di gran maestro del Grande Oriente d’Italia. E così la revisione delle teorie artistiche mazziniane suggeriva, oltre ad appassionati temi letterari romantici, il recupero dei soggetti storici in vista di una scultura civile, andando a formare una nuova iconografia rivoluzionaria dove mettere a punto anche nuove formule, capaci di coniugare il moderno realismo con la tradizione barocca berniniana. Ecco dunque che la serie di studi in terracotta e figure in grande poteva annoverare le figure di Bruto, fondatore della Repubblica romana, di Stefano Porcari, l’umanista che tentò di sollevare il popolo romano contro la Chiesa per ristabilire la repubblica degli antichi, di Jacopo Ortis suicida, votato al sacrificio di sé pur di sottrarsi alla tirannide, come nella figura evocata dallo stesso Mazzini, che fu esposto a Napoli nel 1877 e a Parigi l’anno seguente.
Nel 1877 la serie includeva anche il soggetto di Spartaco, artefice della prima rivoluzione sociale della storia e già protagonista della statua eroica di Denis Foyatier, eseguita a Roma nel 1830 e ancora memore dei Pugilatori canoviani (Parigi, Louvre), e dell’opera di Vincenzo Vela, immediatamente riconosciuta come una chiamata alle armi antiaustriaca alla vigilia del fatidico ’48 (Ligornetto, Museo Vela). Riprendendo alcuni studi grafici risalenti probabilmente al 1867-68 e resi noti da Bruno Mantura, Ferrari indagò nuovamente il tema dei vinti, rappresentando nei due bozzetti Cum Spartaco pugnavit la feroce repressione romana. Il bozzetto qui presentato, con la schiava crocifissa, e un altro di collezione privata con la figura al palo, andavano dunque a costituire una sorta di Via Crucis laica, come suggerito da Mantura.
Nel nostro bozzetto, la figura femminile commuove per la bellezza esangue e indifesa, compianta dall’amico collocato come un plorante ai piedi della croce. L’enfasi patetica di questa espressiva figura, insieme al crudo realismo dettato dalla composizione del peso inerte, definivano un forte manifesto politico e sociale contro lo sfruttamento, l’asservimento e il dispotismo. Un manifesto che allo stesso tempo è anche artistico, neobarocco nel virtuosismo dell’esecuzione, nell’efficace contrapposizione di pieni e vuoti e nella composizione tridimensionale, che supporta molteplici punti di vista.
Presentando tre anni dopo il modello in grande del gruppo all’Esposizione Nazionale di Torino (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), l’artista attenuava forse l’efficacia eversiva affidata al patetismo, ma sceglieva di affidare al forte realismo del grandioso nudo maschile del gladiatore l’invito all’azione politica. Il suo carattere era ben colto dalla stampa del tempo: “Il Ferrari si è mantenuto fedele a quella credenza, combattuta recentemente dal Bonghi, secondo la quale la rivolta di Spartaco, anzichĂ© un fatto politico, viene considerata come un fatto d’indole umanitaria, come la rivolta contro il principio della schiavitĂą e contro l’uso dei combattimenti dei gladiatori. Secondo questa credenza, Spartaco ed i suoi seguaci assumono un carattere sacro, diventano altrettanti martiri del sentimento della dignitĂ umana che si ribella contro gli orrori e l’abiezione della schiavitù” (Anonimo, Esposizione di Torino – La sala della scultura e il gruppo di Ettore Ferrari di Roma, in “L’illustrazione Italiana”, n. 21, 23 maggio 1880, p. 321). E nonostante le accuse di plagio dal gruppo di Louis-Ernest Barrias, Le serment de Spartacus, eseguito a Roma nel 1871 (Parigi, Tuileries), provocassero una vastissima polemica ripresa dai periodici del tempo, il gruppo ottenne il primo premio nella scultura, vedendo il suo successo confermato anche all’esposizione di Londra del 1888.
Stefano Grandesso
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