Lo scultore Adolfo Wildt nacque a Milano il 10 marzo 1868 e si formò come apprendista presso lo studio di Giuseppe Grandi, per poi iniziare a collaborare con Federico Villa dal 1881 al 1894, specializzandosi nella lavorazione del marmo. Nel 1895 Wildt espose a Monaco la scultura dal titolo Martire (marmo, Brescia, collezione Massimo Minini) che gli valse l’interesse del prussiano Franz Rose, suo primo mecenate, che lo sostenne con un contratto assai remunerativo della durata di diciotto anni. Fu quest’ultimo per altro a fare entrare lo scultore in contatto con il clima simbolista nordico, tra tardo classicismo e secessione, permettendogli di intraprendere una profonda riflessione sulle opere di Hildebrand e Klimt.
Tra il 1900 e il 1912 l’artista attese alla cosiddetta Trilogia (Milano, giardino della Villa Reale), una monumentale fontana con tre figure in marmo realizzata per la sala dell’Arte del castello di Doehlau ma mai posta in atto, che vinse il premio Principe Umberto del 1912.
Nel 1921 lo scultore pubblicò il trattato Arte del marmo con lo scopo di divulgare le modalità con cui raggiungere l’eccellenza nel trattamento del marmo, per il quale era considerato un maestro. L’anno seguente Wildt aprì difatti una scuola privata e risultò vincitore della Biennale di Venezia con l’opera La Famiglia (distrutta durante il secondo conflitto mondiale), ottenendo nel 1926 grazie ai meriti riconosciutigli la cattedra di scultura presso l’Accademia di Brera, mentre al 1929 risale la nomina ad Accademico d’Italia.
Ampiamente lodato come “il primo maestro dell’arte del marmo che abbia oggi l’Italia” da Margherita Sarfatti all’interno del celebre Segni colori luci pubblicato nel 1925, lo scultore venne invitato a far parte dalla stessa critica d’arte del Comitato Direttivo del gruppo “Novecento”, alle cui esposizioni partecipò nel 1926 e del 1929.
Morì a Milano il 12 marzo 1931.
Esponente di quella che viene considerata dalla critica la tendenza neogotica attestatasi sulla base del Liberty italiano, lo scultore seppe coglierne le valenze espressionistiche per costruire figure in cui la linea sembra gemere per la tensione innestata, come può cogliersi nella Maschera del dolore (Autoritratto) (marmo con dorature, 1908, Forlì, Museo del Risorgimento Sapri), dove traspare la presenza del teschio per i muscoli tesi fino allo spasmo.
L’indefesso studio da parte di Wildt dell’arte e della cultura classica, che lo portò a possederne una profonda conoscenza e lo spinse a frequentare assiduamente il Museo Nazionale di Napoli in cerca di riferimenti formali, può ammirarsi nella scultura dal titolo Atte (marmo, 1892, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), esposta alla Società per le Belle Arti di Milano del 1893, e che rappresenta, utilizzando le fattezze della moglie Dina Borghi, la liberta favorita da Nerone.