Il pittore Tommaso De Vivo nasce a Orta di Atella, nei pressi di Caserta, intorno al 1790, e si trasferisce a Napoli con la famiglia ai primi anni dell’Ottocento. A partire dal 1804 il pittore è già ricordato come copista dei dipinti conservati presso il Real Museo, che poi vende ai visitatori, finché il marchese Luigi de’ Medici non lo presenta al duca di Calabria, che gli concede ventiquattro ducati al mese per consentirgli di perfezionarsi a Roma. De Vivo giunge in città nel 1821, entrando nello studio di Vincenzo Camuccini, abbandonandola definitivamente solo nel 1848, a seguito delle tormentate vicende politiche che lo videro coinvolto in quanto convinto sostenitore delle istanze libertarie e capo della Guardia Nazionale. Durante questo lasso di tempo il pittore mantiene vivi i rapporti con la terra d’origine: nel 1824 invia il suo saggio di pensionato, la copia della Deposizione caravaggesca, che in un secondo momento verrà collocata nella basilica di San Francesco di Paola, e partecipa alle esposizioni patrocinate dall’Accademia napoletana, come quella del 1833 dove invia un Caino spaventato da Dio (olio su tela, Napoli, Palazzo Reale) e quella del 1835 dove espone La morte di Eudosia (olio su tela, Caserta, Reggia). Nel 1833 De Vivo è chiamato a partecipare alla decorazione della basilica di San Francesco di Paola, per la quale dipinge tre pale d’altare: una Morte di Sant’Andrea Avellino, un’Immacolata e una Crocifissione. Nel 1838 il pittore viene ammesso tra i membri dei Virtuosi del Pantheon, mentre al 1841 circa risale la realizzazione del dipinto raffigurante Gli avvenimenti nel Chiostro di Sant’Angelo a Baiano, commissionatogli dal principe di Fondi, che a causa della denuncia anticlericale in esso contenuto dovette essere portato di nascosto in Palazzo Farnese.
Tornato a Napoli, dove il re Ferdinando II lo nomina ispettore generale delle pinacoteche reali, De Vivo inizia anche ad insegnare presso l’Istituto di Belle Arti fino al 1861. Nella tarda attività il pittore si accosta anche a tematiche troubadour, come testimoniano i dipinti Lo studio di Salvator Rosa e Lo Zingaretto alla presenza della regina Giovanna, e a temi palizziani con Due zampognari e un capretto e l’Asino cavalcato da due contadini licenziati per il conte di Siracusa.
Muore a Napoli il 7 ottobre 1884.
Artefice di uno stile classicista e accademico, che mantenne pressoché immutato durante tutta la propria carriera, De Vivo predilesse in piena congruenza la pittura storica e mitologica. La sua personale cifra stilistica è apprezzabile in dipinti come Giuditta e Oloferne (olio su tela, 1848, Napoli, Palazzo Reale), d’impianto monumentale e pure saturato dagli oggetti di scena sul piano spaziale, il disegno preciso e scultoreo, con evidenti echi della pittura emiliana di primo Seicento mescolati con la tradizione barocca napoletana, di Andrea Vaccaro e Massimo Stanzione su tutti.
La Veduta dell’nterno del Museo Pio-Clementino (inchiostro bruno acquerellato su carta incollata su cartoncino, 1820-30ca.), passata in galleria, mostra straordinarie doti grafiche, evocative e calibrate, ma allo stesso tempo precise nella resa dei dettagli.