Armando Spadini nacque a Poggio a Cajano, Firenze, nel 1883. Non ebbe una tradizionale formazione accademica (frequentò però la Scuola libera del nudo) e fu avviato all’artigianato, come pittore di ceramica.
I suoi esordi artistici risalgono ai primissimi anni del Novecento: nel 1902 vinse il secondo premio al concorso Alinari per le illustrazioni della Divina Commedia e realizzò i primi olii tra cui ritratti dei familiari, autoritratti e alcuni nudi femminili di ispirazione tizianesca. Cominciò a frequentare il gruppo che avrebbe animato la rivista «Leonardo», orientandosi grazie alla guida da un lato di Giovanni Papini e dall’altro di Ardengo Soffici.
Dopo la breve parentesi del servizio militare nel 1904, prima a Benevento e poi a Napoli, tornò a Firenze nella primavera del 1905 dove produsse disegni e xilografie di sapore preraffaellita per le riviste «Leonardo» e «Hermes», insieme a rare opere ad olio.
L’anno seguente conobbe Pasqualina Cervone, allieva di Giovanni Fattori, che avrebbe sposato nel 1908.
Al 1906 risale la sua prima partecipazione all’Esposizione annuale organizzata dalla Società Promotrice di Belle Arti in cui espose lavori ancora floreali di una stagione che si stava però concludendo: Spadini stava infatti ormai guardando a Goya e alla pittura spagnola, lasciandosi alle spalle le rarefatte atmosfere preraffaellite degli esordi. Nei suoi quadri di poco successivi, come la Dormiente (1909), la critica ha colto anche l’influenza della Secessione di Monaco, le cui opere ebbe probabilmente modo di conoscere attraverso la rivista «Jugend», assai diffusa a Firenze.
Nel 1910 si trasferì a Roma con la moglie in seguito all’assegnazione del Pensionato artistico nazionale.
Dopo le difficoltà dei primi anni nella capitale, conobbe, tramite Felice Carena, Angelo Signorelli, tra i suoi primi e più costanti collezionisti, ed entrò in contatto con l’ambiente letterario che sarebbe confluito nella celebre terza saletta del Caffè Aragno che Spadini avrebbe poi frequentato assiduamente.
Nel 1913 partecipò alla prima Secessione romana dove ebbe modo di vedere per la prima volta una vasta scelta di pittura impressionista destinata ad avere su di lui un notevole impatto. L’influenza dell’impressionismo, poi sconfessata dallo stesso Spadini, si scorge infatti particolarmente nelle opere del periodo 1913-1917, come pure quella dei post-impressionisti e dei Fauves, che lo portarono a preferire colori puri e decisi, pennellate spesse e dense e forme meno definite. Matrici impressioniste sembrano per esempio evidenti in quadri come Anna tra i fiori del 1914 o Bimbi al sole del 1915 o nella serie delle vedute del Pincio e di Villa Borghese.
La chiamata sotto le armi nell’ottobre 1915 non gli impedì di partecipare alla Secessione Romana di quell’anno e del successivo.
Nel 1918 ebbe il primo grande successo grazie a un’esposizione presso la Casina Valadier in cui presentò oltre 45 opere, dagli esordi alle tele di sapore impressionista fino alle ultime e più recenti composizioni come Gruppo di famiglia del 1917. Questa prima corposa mostra gli valse la fama di «pittore italiano di patria e di stile» (Papini), ma suscitò anche reazioni diverse (feroce fu il commento di Roberto Melli) in un clima generale di accesa polemica per le molteplici e concomitanti manifestazioni organizzate.
Il giudizio di Papini sarebbe poi stato confermato dalla critica successiva: nel 1927 Adolfo Venturi scriveva di quanto profondamente fosse radicata in lui la «tradizione italiana, dei Veneti e del Correggio» e scorgeva nella sua opere anche la lezione di Andrea del Sarto e Paolo Veronese.
Nel volgere di pochi anni, i detrattori avrebbero stravolto le proprie opinioni in favore di Spadini e lo stesso Melli lo avrebbe lodato nel 1921 come «il più gran pittore d’Italia». Anche Mario Broglio, che non aveva lesinato considerazioni affilate, pochi anni più tardi doveva cambiare decisamente avviso e accoglierlo alla mostra Primaverile fiorentina del 1922 tra gli artisti di Valori Plastici dove riscosse, tra le altre, le lodi di Giorgio De Chirico.
Il cambiamento radicale di giudizio si spiega solo parzialmente con le evoluzioni del linguaggio pittorico di Spadini: sono ormai gli anni del richiamo all’ordine predicato da Soffici e del ritorno al mestiere di De Chirico che meglio degli aneliti avanguardisti si confanno all’indole schiettamente pittorica e figurativa di Spadini.
Si aprì per lui la stagione dei riconoscimenti ufficiali con la vincita di una cattedra all’accademia di belle Arti di Firenze (cui rinunciò) e la nomina ad Accademico di San Luca nell’autunno 1920.
Ulteriore conferma arrivò con una sala personale alla XIV Esposizione Internazionale d’Arte della CittĂ di Venezia nel 1924 che andò personalmente ad allestire a Venezia, nonostante patisse ormai gravemente la nefrite contratta durante la guerra, che lo avrebbe portato alla morte nel marzo 1925.
Nell’anno della sua scomparsa, Ardengo Soffici gli dedicò una monografia edita da Valori plastici, mentre è del 1927 il catalogo generale delle sue opere, curato dall’amico Emilio Cecchi con un’importante prefazione di Adolfo Venturi e pubblicato da Arnoldo Mondadori che di Spadini era estimatore e collezionista. La retrospettiva alla prima Quadriennale del 1931 ebbe poi il tono e l’ampiezza della consacrazione, né fu l’unica volta in cui le sue opere furono presentate alla rassegna romana, che gli dedicò due sale nella sesta edizione del 1955.
Grazie ad alcuni acquisti durante le Secessioni e poi alle donazioni di collezionisti privati, le opere di Armando Spadini sono oggi nelle collezioni di alcuni dei più importanti musei italiani. Le famiglie Grassi e Feltrinelli hanno lasciato dieci olii alle raccolte civiche del Comune di Milano, rispettivamente nel 1956 e nel 1962; e nel corso degli anni sessanta due dipinti sono arrivati al Museo di Capodimonte. Nel 1971, per volontà testamentaria di Arnoldo Mondadori, un nucleo significativo di opere di Spadini confluì nelle collezioni del Museo Civico di Mantova e altre sue opere si trovano presso la Galleria Comunale e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Il centenario della nascita di Spadini nel 1984, caduto in un momento di generale ripresa di interesse per l’arte italiana del cosiddetto ritorno all’ordine, è stata l’occasione per un riesame critico della sua opera, cui è seguita un’altra importante mostra nella natale Poggio a Cajano, curata nel 1995 da Maurizio Fagiolo dell’Arco, a restituirgli la fama di artista pienamente calato nel Novecento, ricettivo verso le innovazioni e che operava tuttavia nel solco della tradizione.