Il pittore Raffaello Sernesi nacque a Firenze il 29 dicembre 1838 e si formò all’interno della bottega del medaglista Angiolo Mariotti, dimostrando da subito notevoli doti disegnative.
Dal 1856 al 1859 Sernesi frequentò i corsi dell’Accademia di Belle Arti della città sotto la guida di Antonio Ciseri, per poi abbandonarla a causa dell’insofferenza verso l’insegnamento tradizionale. All’inizio degli anni Sessanta il pittore si avvicinò al circolo di artisti gravitante intorno al Caffè Michelangelo condividendone le sperimentazioni sulla macchia, in special modo quelle operate da Telemaco Signorini, che ebbe un notevole influsso su di lui. Nel 1861 Sernesi si recò sull’Appennino pistoiese in compagnia di Borrani per compiere degli studi dal vero, momenti figurativi in cui la tecnica della macchia viene sublimata in una dimensione serena ed essenziale, come testimoniato dal dipinto raffigurante un Pascolo (olio su tela, 1861, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna).
L’anno successivo il pittore si recò a Napoli per vendere la medaglia celebrativa di Garibaldi che aveva disegnato e fare visita al collega Stanislao Pointeau. Divenuto tra i principali rappresentanti della “Scuola di Piagentina”, Sernesi venne invitato dal critico Diego Martelli a frequentare la sua villa di Castiglioncello durante i mesi estivi, soggiorni a cui parteciparono anche Borrani e Silvestro Lega e che rappresentarono un’occasione favorevole per dedicarsi con spensieratezza alle proprie ricerche tecnico-luministiche. A questi momenti appartengono dipinti come Marina a Castiglioncello (olio su tela, 1864, Milano, collezione privata) e Sull’aia (olio su tela, 1865, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Fervente e appassionato sostenitore delle idee libertarie l’artista si arruolò volontario alla terza guerra d’indipendenza, rimanendo ferito durante la battaglia di Condino. Morì a Bolzano a seguito delle ferite riportate il 9 agosto 1866.
Partendo dalle linee tracciate da Telemaco Signorini, Odoardo Borrani e Vincenzo Cabianca, Sernesi si dedicò prevalentemente alla pittura di paesaggio approdando ad un lessico nitido e robusto, impostato su un rigore astrattivo e una limpidezza luministica memore della purezza matematica del Quattrocento toscano, come indica il piccolo gioiellino Tetti al sole (olio su cartoncino, 1860, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), che ne denuncia l’indole inquieta e contemplativa.