Il pittore Pietro Labruzzi nasce a Roma nel 1738 e la sua formazione artistica, a causa degli scarsi dati riemersi, risulta ad oggi ancora poco chiara. La sua partecipazione a fianco di pittori d’area napoletana come Sebastiano Conca e Onofrio Avellino nell’ambito degli interventi di decorazione della chiesa di Santa Maria della Luce, dove nel 1753 Labruzzi esegue la pala d’altare con la Madonna e i santi Anna e Gioacchino, così come alcune affinità stilistiche, fanno supporre che possa essersi formato proprio nell’alveo del pittore di Gaeta. Di poco successiva è La lapidazione di santo Stefano per la chiesa di Santo Stefano in Piscinula, dove il nostro lavora sempre a fianco di colleghi meridionali.
Al 1773 risale la commissione per le pale d’altare destinate alla chiesa di Nossa Senhora do Loreto di Lisbona, terminate nel 1775, rappresentanti San Giovanni Battista, San Francesco di Paola in preghiera, San Francesco riceve le stimmate e San Carlo Borromeo comunica gli appestati, caratterizzate da una forte vigore naturalistico e cromie dense di sfumature, memori della tradizione barocca. Successivamente il lessico del pittore, in accordo alle moderne sperimentazioni formali e stilistiche che animavano la scena capitolina, si aggiornò verso un più posato classicismo, come dimostra la pala d’altare rappresentante La morte di santa Scolastica (olio su tela, 1778) realizzata per la chiesa di Sant’Andrea a Subiaco.
Nel 1780 Labruzzi viene ammesso tra i membri della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, non riuscendo però a diventare mai accademico di San Luca, e questo nonostante il prestigio delle commissioni ricevute e i favori accordatigli dallo stesso Pio VI. Negli anni ’90 infatti il Nostro è il principale artefice dell’intervento decorativo del Duomo di Spoleto promosso dal pontefice, per il quale dipinge Il beato Gregorio eremita (1790), La caduta della manna (1791 ca.), Il sacrificio di Melchisedec (1795 ca.) e Il sacrificio di Isacco (1796 ca.). Tra le ultime opere del pittore si conoscono il Ritratto di Pio VII (olio su tela, 1800, Duomo di Tivoli, Sagrestia), fedele al proprio lessico calligrafico ma aperto alla pomposità batoniana, e Il martirio di san Lorenzo (olio su tela, 1800 ca., Duomo di Tivoli) aggiornato su un ormai imperversante stile camucciniano.
Muore a Roma il 13 febbraio 1805.
Sebbene attraverso un lessico più calligrafico e asciutto, meno propenso ai delicati giochi d’elegante pittoricismo praticati da altri pittori a lui contemporanei – si pensi a Batoni e Von Maron – Pietro Labruzzi seppe farsi apprezzare come ritrattista da una vasta committenza romana ed europea colta e aristocratica. Le sue qualità nel genere del ritratto, nel quale eccelleva per la minuziosità descrittiva e la caratterizzazione ambientale, gli consentirono di guadagnarsi la stima di numerosi colleghi, come testimonia il Ritratto di Vincenzo Pacetti (olio su tela, 1790, Roma, Accademia Nazionale di San Luca) allogatogli direttamente dallo scultore, che viene raffigurato in un elegante abito e affiancato dal modello della ninfa Imera. Di elevata profondità psicologica anche l’assai noto Ritratto di Giovan Battista Piranesi (olio su tela, 1779, Roma, Museo di Roma) iniziato probabilmente quando l’incisore era ancora in vita e terminato post mortem.
In relazione alla pittura di carattere sacro praticata dal Labruzzi, tra le più importanti imprese che attesero il pittore occorre ricordare il ruolo da protagonista avuto nell’ammodernamento del Duomo di Spoleto voluto da Pio VI, dove tra le numerose opere da lui realizzate è conservata la pala d’altare con il Beato Gregorio eremita (olio su tela, 1790 ca.) che mostra la volontà di assimilare il lessico batoniano fatto di riflessi smaltati, gesti misurati e un generale illeggiadrimento delle forme.