Il pittore Francesco Giuseppe Antonio Diotti nasce a Casalmaggiore il 21 marzo 1779, e viene avviato alla pratica artistica, sotto la guida di Paolo Araldi, tra il 1790 e il 1794. Da questa data il pittore frequenta per due anni l’Accademia di Belle Arti di Parma grazie al sostegno economico del nobile Giovanni Vicenza Ponzone, potendo così perfezionarsi nella prospettiva e nel disegno di figura con Gaetano Calliani, che lo invita alla copia delle opere di Correggio e del Parmigianino.
Partecipa al concorso accademico del 1796 con un pastello rappresentante Ercole e Anteo, che viene assai lodato, anche se il premio non viene assegnato a causa della discesa in Italia di Napoleone.
Con la morte del padre avvenuta l’anno successivo, Diotti è costretto a svolgere l’attività di copista, a dipingere insegne e a fare il restauratore. Nel 1804 Paolo Fadigati lo assume come insegnante di disegno per la moglie Barbara Vimercati e il pittore esegue nella loro casa di Casalmaggiore quattro medaglioni a tempera di soggetto mitologico. Dopo aver decorato a tempera una sala di villa Guicciardi a Mancasale, di cui ci rimane solo il soffitto con il Ratto di Ganimede, il pittore vince il pensionato romano messo in palio dall’Accademia di Brera con un dipinto raffigurante Nesso trafitto da Ercole. Nell’Urbe Diotti inizia a studiare con assiduità la statuaria classica e si avvicina allo stile severo ed eroico di Camuccini e Wicar, come dimostra il disegno con la Morte di Socrate (carboncino, inchiostro, biacca e acquerello, 1806, Milano, Accademia di Brera), saggio del secondo anno di pensionamento, premiato con la medaglia d’oro a Brera e tradotto in tela nel 1809 (Cremona, Museo Civico “Ala Ponzone”). Sempre a Roma il pittore esegue le due tele rappresentanti Mosè e il serpente di bronzo e l’Adorazione dei pastori, entrambe in deposito presso il Museo Diotti di Casalmaggiore, assai lodati da Canova e Camuccini e premiati con medaglie sia a Roma che a Milano. Fatto ritorno in Lombardia, il pittore si avvicina all’entourage di Andrea Appiani, con il quale condivide le ricerche formali e che lo sostiene nella nomina a direttore e professore dell’Accademia Carrara di Bergamo, carica che Diotti assume dal 1811 al 1845. Da questa data ha inizio l’importante attività di decoratore del Diotti, che in Palazzo Bolzesi-Mina di Cremona esegue il magnifico ciclo mitologico ad affresco dove tra le altre scene dipinge Antigone condotta a morte da Creonte e Ulisse alla corte di Alcinoo in puro stile neoclassico (1813-1826), mentre del 1818 è la Toeletta di Venere in Palazzo Colleoni e nel 1830 inizia i lavori per il presbiterio del duomo Cremona – i cartoni sono conservati presso l’Accademia Carrara di Bergamo.
Colpito da problemi alla vista nel 1833, il pittore si ritira nella sua villa di Casalmaggiore a partire dal 1837, dove instituisce una sorta di accademia privata.
Morì a Casalmaggiore il 30 gennaio 1846.
Dalle premesse tardobarocche di matrice lombarda, riconducibili al magistero di Giuliano Traballesi, Diotti sviluppò un lessico eclettico in cui elementi derivanti dalla pittura cinque-seicentesca si inseriscono sullo studio dell’arte classica, a cui si aggiunsero successivamente influenze nazarene e romantiche. Tra i massimi esempi che possano documentare tali notevoli stimoli culturali e figurativi, il celebre Ugolino nella torre di Pisa tratto dal canto XXXIII dell’Inferno dantesco (olio su tela, 1832, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo), di cui realizzò già una prima versione nel 1817, accompagnata poi da numerose repliche e varianti, bozzetti e disegni. Sebbene innestato su premesse classiciste, è innegabile che qui il pittore voglia confrontarsi con le novità introdotte dal più giovane Hayez, sia nell’acceso contrasto morale ed emotivo della composizione, che negli studiatissimi e simbolici valori tonali, accesi da una luce lunare, argentea.
Le sue aperture verso molteplici interessi sono per altro testimoniate dallo Studio della testa di un condannato (olio su tela, 1809, Cremona, Museo Civico “Ala Ponzone”), vibrante di un forte naturalismo seicentesco.
Il suo stile più marcatamente neoclassico, devoto alla rappresentazione mitologica così ampiamente apprezzata in territorio lombardo ed al gusto diffuso con successo da Andrea Appiani e dalla sua scuola, è apprezzabile nel soffitto di Palazzo Bolsezi-Mina, dove Giove e gli dei dell’Olimpo è condotto attraverso uno stile severo e calibrato, memore del lascito pittorico di Giuseppe Bossi.
Nell’ambito dell’arte di tipo religioso, tra le sue opere di maggior successo è La Vergine col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Stefano, licenziata nel 1814 per la chiesa di Santo Stefano di Casalmaggiore, caratterizzata da una sensibilità cromatica e da un lirismo neo-cinquecentesco che ne documentano la vicinanza culturale con le modalità espressive dell’Appiani.