La pittrice Marianna Candidi Dionigi nasce a Roma il 3 febbraio 1756 e viene avviata allo studio della musica e delle materie classiche, latino e greco. Sposatasi a soli quindici anni con Carlo Dionigi, si interessa in un secondo momento all’archeologia e alla pittura, diventando allieva del paesaggista romano Carlo Labruzzi. Prima dello scoppio della Rivoluzione la pittrice viene invitata in Francia per fare l’istitutrice di una delle principesse, ma Marianna rifiuta per non abbandonare la famiglia.
A partire dagli anni ’90 del XVIII secolo il salotto della Dionigi su via del Corso diventa un luogo assai frequentato e alla moda, in cui convergono letterati e studiosi italiani quanto stranieri: dell’amicizia con la raffinata ed erudita pittrice godettero Carlo Fea, Seroux d’Agincourt, Leopardi, Vincenzo Monti, Giuseppe Tambroni, Canova, Ennio Quirino Visconti, Paul-Louis Courier (ufficiale dell’esercito francese piuttosto interessato all’arte).
Nel 1808 la pittrice sottopone ai membri dell’Accademia di San Luca il suo trattato teorico dal titolo Precetti elementari sulla pittura de’ paesi (pubblicati nel 1816) in cui espone come fondamenti del genere il disegno, la proporzione e l’armonia delle tinte venendo nominata nell’occasione accademica di merito come “paesista a tempera”.
La Dionigi decide di trascorrere gli ultimi anni di vita in una villa di Civita Lavinia (oggi Lanuvio) in cui è ancora conservata la sua collezione archeologica, mentre i dipinti andarono distrutti.
Tra le sue ultime fatiche bisogna ricordare l’album di incisioni, sulla scorta del maestro Labruzzi, dal titolo Viaggio in alcune città del Lazio (1809), intrapreso per immortalare vedute tra Ferentino, Anagni e Arpino, in cui si fece accompagnare da un architetto per una maggiore precisione dei rilievi.
Muore a Civita Lavinia il 10 giugno 1826.
In un lessico figurativo marcatamente influenzato dalla declinazione arcadico-letteraria con cui aveva aggiornato il paesaggio il maestro Carlo Labruzzi, la Dionigi seppe trarre proficua ispirazione anche dalla tradizione più prestigiosa in questo genere, da Claude Lorrain a Philipp Hackert, da cui apprese l’armonia classicista della composizione.
Tra i vertici più pregevoli della produzione della pittrice è il dipinto dal titolo Paesaggio (tempera su tela, 1798 ca., Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), dove in una natura indagata analiticamente e riscaldata da toni idilliaci e una luce dorata, in primo piano è rappresentata la decima fatica di Ercole, in cui il mitico personaggio conduce le mandrie di Gerione. Sullo sfondo può apprezzarsi la preziosa capacità descrittiva della Dionigi negli inserti archeologici, il tempio sulla collina e l’acquedotto con le sue arcate, tipici del repertorio neoclassico.