Il pittore e scultore Cesare Maccari nasce a Siena il 9 maggio 1840 e dopo un apprendistato compiuto sotto la guida di Giovanni Vestri, che lo introduce alla lavorazione dell’alabastro, nel 1855 si iscrive all’Istituto di Belle Arti per perfezionarsi nella scultura. Seguendo tale iniziale inclinazione Maccari l’anno successivo entra nello studio di Tito Sarrocchi per imparare a scolpire nel marmo, cosicché può iniziare a mettersi alla prova finendo i panneggi di alcune figure allegoriche del Monumento a Giuseppe Pianigiani lasciato incompiuto da Enea Becheroni. Notata la predisposizione del Maccari per la pratica, Luigi Mussini decide di prenderlo sotto la propria ala avviandolo verso una nuova carriera, e le prime prove del Nostro, di gusto nazareno, riscuotono immediato successo, come nel caso del dipinto rappresentante Il servo di Abramo presenta i gioielli a Rebecca (olio su tela, 1865, Siena, Monte dei Paschi), che viene acquistato da Ferdinando Pieri Merli, per il quale nel 1862 l’artista aveva affrescato i Quattro evangelisti nella cappella della villa di Quinciano. Nel 1866 il pittore presenta Gli ultimi momenti di Lorenzo il Magnifico con cui si aggiudica il pensionato Biringucci, che gli consente di viaggiare a Perugia, Roma, Firenze e Venezia, dove studia con particolare ammirazione l’opera di Tiepolo. Nel 1870 Maccari si stabilisce a Roma, dove tra le prime opere realizzate figurano le figure di David e Mosé affrescate sui peducci dell’abside della chiesa di Santa Francesca Romana, per poi eseguire tra il 1871 e il 1873, su incarico di Vittorio Emanuele II, le decorazioni della Cappella Reale del Sudario, che comprendono la Gloria dei cinque beati della casa Sabauda, Allegorie delle Virtù e i due riquadri con San Francesco di Sales col venerabile Ancina davanti la chiesa di Carmagnola e Sant’Anselmo al concilio di Bari. Venutogli nel frattempo a mancare nel 1872 il sostegno del pensionato Biringucci Maccari è costretto a dedicarsi alla pittura da cavalletto, stringendo un accordo con il noto mercante Albert Goupil, al quale fornisce numerosi dipinti alla moda con soggetti esotici ispirati alla poetica di Mariano Fortuny e Alma Tadema, come L’arabo che fuma la pipa.
Nel 1880 il pittore vince il concorso promosso in occasione dell’Esposizione di Torino con il dipinto La deposizione di papa Silvestro, per poi attendere tra il 1882 e il 1888 alla decorazione della Sala del Senato di Palazzo Madama a Roma. Entro il 1895 vengono compiuti i lavori, sterminati, sulla cupola della Basilica di Loreto, dove viene affrescato il ciclo con La glorificazione della Vergine nella figurazione artistica delle litanie lauretane. Il cantiere si protrarrà poi fino al 1907 con la copertura dei parietali del tamburo rappresentanti quattordici episodi riguardanti il Dogma dell’Immacolata Concezione nella storia del culto di Maria.
Colpito da paralisi nel 1909, che lo costringe a interrompere l’attività, Maccari muore a Roma il 7 aprile 1919.
Artista dalla sfavillante cultura nazareno-purista intrisa di colorismo veneto, che si rispecchia e si esalta attraverso lo scrupolo filologico posto nella riscoperta della tecnica dell’affresco, le prime prove del pittore sono caratterizzate da un’ascendenza della poetica romantica di gusto troubadour, riscontrabile sia nella composizione che nei soggetti, tratti dal repertorio storico-letterario, come nel caso del dipinto avente per soggetto Leonardo da Vinci ritrae la Gioconda (olio su tela, 1863, Siena, Museo Cassioli), con cui Maccari vinse il premio triennale dell’Istituto di Belle Arti di Siena del 1863.
Tra i numerosi cicli ad affresco che testimoniano delle sostenute qualità tecniche del pittore, quello realizzato presso Palazzo Madama a Roma, in una sala che oggi porta il suo nome, più di ogni altro permette di confrontarsi con il suo linguaggio maturo, accostabile a quello di Alma Tadema, in un virtuosistico rispecchiamento dialettale tra auliche e nobili gesta, un impeccabile armonia nella composizione e un pittoricismo magniloquente.
La nostra Galleria ha potuto trattare lo studio preparatorio del pittore in relazione all’affresco della cappella Clementini Piccolomini nel cimitero della Misericordia a Siena raffigurante La resurrezione di Cristo (carboncino su carta avana, 1890), preziosa testimonianza del suo vigoroso plasticismo, poi stemperatosi nella trasposizione finale.