Lo scultore e pittore Adriano Cecioni nacque a Firenze il 26 luglio 1836 e si formò presso l’Accademia di Belle Arti della città, per poi interrompere gli studi nel 1859 per partecipare alla seconda guerra d’indipendenza come bersagliere. L’anno seguente l’artista partecipò, ma senza successo, al concorso per l’erezione della statua di Carlo Alberto in piazza Santa Maria Novella, ed iniziò a frequentare il gruppo di artisti gravitante nel Caffè Michelangelo, senza condividerne tuttavia appieno le ricerche figurative. Vinto il pensionato romano del 1863 messo in palio dall’Accademia, che tuttavia viste le circostanze politiche veniva reindirizzato a Napoli, lo scultore si trasferì nella città partenopea divenendo un punto di riferimento per un gruppo di giovani artisti, tra cui Giuseppe De Nittis. Intorno al Cecioni venne così costituendosi quella che verrà definita “Scuola di Resina”, in seno alla quale, ad onta di una sola Veduta di Napoli ad oggi nota (olio su tela, 1865, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti), veniva professato un nuovo approccio alla natura, diretto e all’aria aperta. Di questo periodo sono piccole terrecotte che riflettono gli interessi dell’artista verso tematiche di vita domestica e familiare, come La moglie incinta (Napoli, Museo di Capodimonte), e il capolavoro Il suicida ispirato ad una poesia di Leopardi, raffigurazione d’intensa drammaticità.
Tornato nel 1867 a Firenze dopo la significativa esperienza napoletana il pittore si dedicò con più dedizione alla pittura, ma ben presto, vista la difficoltà di affermarsi sulla scena artistica fiorentina, decise di raggiungere De Nittis a Parigi. Avendo inviato infatti al collega alcune fotografie di un gruppo in gesso modellato nel 1868 rappresentante Bambino col gallo (Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti), al Cecioni venne richiesta la sua traduzione in marmo dal pittore Vibert, che lo incoraggiò al trasferimento con tutta la famiglia. L’opera venne esposta al Salon di quell’anno riscuotendo un incoraggiante successo, tanto che il mercante Luis Martin volle acquistarne i diritti per poterne eseguire delle repliche in bronzo. Ma la parentesi parigina si rivelò per il Nostro ben presto un’amara illusione, incapace com’era di farsi affascinare dal vorticoso mondo febbrile e alla moda della capitale francese, con il suo ritmo superficiale e l’arte à la mode. Alla fine del 1870 Cecioni fece ritorno a Firenze, ma il dolore per la morte della piccola figlia lo spinse a viaggiare prima a Parigi e poi nel 1872 a Londra, dove eseguì alcune caricature per il periodico Vanity Fair.
A partire dal 1873 lo scultore prese a collaborare insieme a Diego Martelli e Telemaco Signorini al Giornale artistico, organo che supportava il progressismo fiorentino, scrivendo numerosi articoli di critica artistica rivolti per la maggior parte contro Dupré e Meissonnier.
Nel 1880 Cecioni partecipò all’Esposizione Nazionale di Torino con i gessi rappresentanti La Madre e Una sorpresa per le scale, presentando la fusione in bronzo derivante da quest’ultima opera all’Esposizione Internazionale di Roma del 1883. L’anno seguente lo scultore fu nominato dal ministro della Pubblica Istruzione maestro di disegno presso l’Istituto Superiore di Magistero Femminile di Firenze, che finalmente andava prospettando una periodo libero dalle difficoltà economiche. Ma purtroppo l’artista morì giovanissimo a Firenze il 23 maggio 1886, “sempre amato dai buoni – non dalla fortuna” come scrisse Carducci sul suo epitaffio.
La poetica figurativa del Cecioni si venne oggettivando come la risultante tra l’esperienza fiorentina della macchia, il realismo napoletano e la declinazione in chiave intimista della raffigurazione d’interni d’ascendenza nordica. Nel pittore tuttavia la domestica dimensione psicologica con cui spesso vengono trattati i temi dell’infanzia non si risolve in immagini portatrici di una riposata armonia, ma, al contrario, si vela di una sottile inquietudine, riscontrabile in opere come Il gioco interrotto (olio su tela, 1867-1868, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna).
Le aspirazioni dell’artista destinate alla traduzione in chiave plastica di virtù schiette e idee universali si palesano in sculture come La Madre (gesso, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti), presentata all’Esposizione Universale di Torino del 1880 senza tuttavia farne seguire la commissione per una traduzione in marmo. Alle critiche mosse verso la ruvidezza con cui è stato trattato il tema, il Cecioni rispose sotto pseudonimo con uno scritto polemico: “Per quanto io sappia, non ha voluto fare la bella Madre, ma la Madre; ed ha trattato questo soggetto non per confinarlo in una classe piuttosto che in un’altra, né per localizzarlo in campagna piuttosto che in città. Ha voluto fare la madre per esprimere l’idea della maternità“. Fu solo grazie alla mediazione richiesta dall’artista a Giosuè Carducci, che aveva dedicato all’opera dei versi, che il Ministero dell’Istruzione Pubblica nel 1884 si decise per l’acquisto della sua traduzione in marmo, terminata nel 1886 e conservata presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma.