Il pittore Paolino Caliari nacque a Verona il 22 luglio 1764 e venne avviato alla formazione accademica sotto la guida di Prospero Schiavi, dedicandosi alla copia dei maestri antichi, in special modo dei caposcuola locali. Per Benedetto del Bene, segretario perpetuo dell’Accademia Cignaroli, copiò la predella della pala del Mantegna in San Zeno. Nel 1788 Paolino ottenne il diploma di professore presso l’Accademia, in seno alla quale partecipò delle sperimentazioni tecniche promosse da Anton Maria Lorgna. Negli anni 1792,1793 e 1794 il pittore vinse così il primo premio dei concorsi banditi in relazione a dipinti eseguiti a cera punica ed encausto, rispettivamente con un Ebe, un Ecce Homo e le Esperidi. Con queste tecniche eseguì nel 1820 le decorazioni in due stanze nella casa del conte Ravignani, dopo essersi cimentato per anni nella decorazione dei palazzi delle più importanti famiglie veronesi, nelle quali applicò un repertorio celebrativo di matrice storico-mitologica, come nei casi di Palazzo Della Torre-Lebrecht con episodi di storia scaligera, di casa Lavagnoli dove dipinse un soffitto con le Virtù e di casa Scolari-Galvani a San Tommaso con gli affreschi monocromi sulla facciata rappresentanti La Concordia e La Discordia. Per il suo primo benefattore, Benedetto del Bene, il pittore decorò alcune camere del suo palazzo eseguendo dei medaglioni di soggetto sacro. Gran parte delle fatiche del Caliari furono assorbite dalla copia di dipinti presenti sul territorio veronese, per le quali fu particolarmente apprezzato, come nel particolare caso della Madonna del Garofalo al tempo conservata presso San Tommaso Cantuariense: la copia gli fu richiesta per un’imminente trasferimento della tela a Vienna, ma riuscì tanto perfetta che la commissione alla fine la scambiò per l’originale.
Morì a Verona il 23 aprile 1835.
Artista dagli interessi poliedrici, Caliari si fece apprezzare, oltre che come copista, per la personale capacità di coniugare il neoclassicismo con gli influssi della tradizione veneta rinascimentale. Soprattutto nelle opere di soggetto sacro, frequentate con più costanza al tempo dell’occupazione austriaca, il pittore si espresse attraverso un linguaggio pietistico dai toni sentimentali, non privo tuttavia di solidità compositiva e di vigore plastico, caratteristiche apprezzabili nel Sacro Cuore di Gesù conservato nella chiesa dei Santi Nazaro e Celso.
Nel genere del ritratto il Caliari si mantenne sulla scia di un neoclassicismo sobrio e domestico, emblematicamente configurato nel bel Ritratto di cameriere (olio su tela, Verona, Palazzo Forti), originariamente pensato come insegna per un caffè, dove il giovane ragazzo dai lineamenti delicati è presentato in piedi a figura intera, vestito alla moda in un ambiente spoglio, mentre tiene tra le mani un vassoio con delle tazzine.