Il pittore Pompeo Girolamo Batoni nacque a Lucca il 25 gennaio 1708, figlio di un apprezzato orafo, Paolino, nella bottega del quale l’artista iniziò ad intagliare metalli preziosi. Dopo aver imparato i rudimenti del mestiere presso i pittori lucchesi Giovan Domenico Brugieri e Giovan Domenico Lombardi, nel 1727 Batoni si trasferì a Roma grazie al finanziamento di Alessandro Guinigi, così da poter completare la propria formazione, entrando nello studio di Agostino Masucci e dedicandosi allo studio delle sculture vaticane e alla copia di Raffaello, Annibale Carracci, Guido Reni ecc. I suoi disegni dall’antico iniziarono ben presto ad attirare l’attenzione dei grand tourists, soprattutto inglesi, tra cui Richard Topham, che ne possedé 53. Il pittore divenne membro dell’Accademia di San Luca nel 1741, e a partire da questa data iniziarono a pervenire con sempre più frequenza commissioni per pale d’altare e soggetti storico-mitologici. Divenuto ben presto richiestissimo dalla nobiltà europea, e dunque sempre meno disponibile e abbordabile, la sua produttività rallentò in maniera direttamente proporzionale al preziario dei dipinti, rendendolo di fatto l’artista più pagato della sua epoca.
Lo studio di Batoni in via Bocca di Leone divenne meta ambita dai giovani artisti, che anelavano a prendere parte alle accademie private del pittore, e luogo a cui fecero visita non solo aristocratici e regnanti, ma che accolse perfino tre papi: Benedetto XIII, Clemente XIV e Pio VI. A testimonianza della sua fama leggendaria e della portata della sua eredità artistica, Carstens volle affittare dalla vedova del pittore il suo studio, dove imbastì una personale di disegni.
Fu “accademico delegato” su Roma su istanza dell’Accademia di Parma a partire dalla sua affiliazione nel 1761, sebbene si tenne sempre piuttosto distante dagli impegni accademici. Morì a Roma il 4 febbraio 1787.
Definito “pittore-pittore” da Onofrio Boni, che ne scrisse il famoso Elogio nel 1787, pare veramente che Batoni sia nato con i doni delle Grazie, tanto è alta la qualità tecnica dei suoi dipinti, di una seduzione visiva tattile. Talento indiscusso che emerse fin dai primi saggi eseguiti dal pittore, come nel capolavoro del 1740 commessogli dal marchese Vincenzo Maria Riccardi, un’Allegoria delle Arti (olio su tela, Francoforte sul Meno, Städel Museum) che acquista quasi valore di dichiarazione poetica e manifesto estetico: il vero di natura purgato attraverso le forme greche, seguendo le orme di maestri come Raffaello, Annibale Carracci, Guido Reni e Domenichino.
Tra le opere d’arte sacra invece è d’obbligo menzionare la maestosa pala con La caduta di Simon Mago (1755, olio su tela, Roma, chiesa di S. Maria degli Angeli), caratterizzata da un impianto prospettico che esalta i gesti enfatici dei personaggi. Destinata inizialmente per essere tradotta in mosaico nella Basilica di San Pietro, in sostituzione del quadro di Francesco Vanni, l’opera venne pagata la sorprendente cifra di 1200 scudi, apice della grandeur e della sapienza compositiva del pittore, resa imponente dagli effetti di luce artificiali.
Divenuto tema di dibattito all’interno dei circoli artistici ed intellettuali di tutta Europa, la rivalità tra Batoni e Mengs – che Boni definì “pittore-filosofo” – meglio non poteva sostanziarsi se non nell’ambito della pittura di storia, che allora ancora primeggiava indiscussa nella gerarchia dei generi pittorici. Proprio su questo presunto dualismo volle far leva Sir Watkin Williams Wynn quando, durante la tappa romana del suo Grand Tour nel 1768, pose in diretta competizione i due pittori commissionando a Batoni un Bacco e Arianna (1773, olio su tela, Roma, collezione Apolloni) e a Mengs un Perseo che libera Andromeda (1778, San Pietroburgo, Hermitage). Il dipinto del pittore lucchese, a differenza di quello del boemo mutuato in modo più esplicito dalla statuaria antica, denuncia l’apprezzamento per la pittura emiliana del Seicento, nelle sue tonalità sature e piene, gli atteggiamenti teatrali ma graziosi e calibrati.
Ciò che tuttavia rese celebre il nome del pittore furono, più di ogni altri, i ritratti di Grand Tourists, tanto che il Boni poté affermare come “Batoni può vantarsi che quasi tutti i principi e i regnanti che nel suo tempo venivano a Roma si sono compiaciuti di farsi fare il ritratto da lui“. Nel genere del ritratto a figura intera, in cui eleganti milord inglesi posano in una scenografia costituita da scorci di monumenti antichi, sculture e frammenti, mobili pregiati e souvenir acquistati in città, il pittore delineò un canone a cui gli effigiati erano entusiasti di aderire. Si guardi ad esempio il bellissimo Ritratto di Henry Peirse (olio su tela, 1775, Roma, Palazzo Barberini), tra i pochi esempi che è ancora possibile ammirare in una collezione italiana, in cui è possibile riconoscere sulla destra l’Ares Ludovisi, uno degli elementi “contestualizzanti” che il pittore inserì molto spesso per affiancare i protagonisti.