Il pittore Luigi Basiletti nacque a Brescia il 18 aprile 1780 e ricevette la prima formazione in campo artistico frequentando lo studio di Sante Cattaneo, per poi iscriversi nel 1801 all’Accademia Clementina di Bologna, studiando figura con Jacopo Alessandro Calvi. Il pittore riuscì ad imporsi ben presto in seno ai concorsi accademici, vincendo il premio Marsili Aldrovandi nel 1802 e l’anno successivo il premio Fiori con il dipinto raffigurante Il ratto di Proserpina (olio su tela, Bologna, collezioni accademiche). Al 1803 risale il suo primo soggiorno romano dove, sotto l’influenza di Pelagio Pelagi con cui aveva stretto amicizia a Bologna, il pittore si dedica alla pittura di storia in stretto dialogo con l’Antico, realizzando un Oreste inseguito dalle furie con cui vinse il premio Curlandese nel 1804 (olio su tela, Bologna, collezioni accademiche), in cui mostra già un linguaggio neoclassico maturo, calibrato. Nell’Urbe Basiletti inizia a dedicarsi con sempre più passione alla pittura di paesaggio, realizzando studi della campagna romana e vedute della città, di cui ci resta testimonianza in numerosi acquerelli (un fondo cospicuo è conservato presso i Musei Civici di Brescia). Nel 1807 e nel 1808 il pittore compie due viaggi a Napoli per realizzare degli schizzi paesaggistici e archeologici, visitando Pompei e i Campi Flegrei. Tornato a Roma, Basiletti esegue una Nascita della Vergine per il conte Federico Martinengo che espone al Pantheon riscuotendo consensi (1808, frammenti in collezione privata), e realizza un Ritratto di Canova, purtroppo ad oggi disperso. Con il definitivo rientro a Brescia nel 1809, il pittore si dedica alla pittura di soggetti sacri per la propria città, tra cui l’Angelo custode per il Duomo Nuovo (olio su tela, 1811) e l’Incontro dei santi Pietro e Paolo a Gerusalemme (olio su tela, 1815) per Provaglio d’Iseo. Dal 1811 al 1813 sovrintende alla sistemazione del palazzo del conte Paolo Tosio, dove realizza tre sovrapporte, e per il quale dipinge la Niobe durante il suo secondo soggiorno romano del 1814, circostanza per altro nella quale venne accolto tra gli accademici di San Luca.
Architetto dilettante, Basiletti in questo specifica area si occupò del dibattito che scaturì sull’ornamentazione per la cupola del duomo di Brescia, mentre tra il 1820 e il 1823 fornì dei disegni per il Mercato del grano della stessa città.
Uomo di vasta cultura, fu promotore di numerosi scavi e tra i principali fautori della fondazione del Museo romano, scoprendo tra gli altri la famosa Vittoria alata di Brescia. In merito a questi anni d’attività il pittore diede alle stampe una sorta di relazione dal titolo Memorie archeologiche bresciane (1826).
Morì a Brescia il 25 gennaio 1859.
Pittore dai molteplici interessi e dalla carriera eclettica e diversificata, Basiletti si fece apprezzare in special modo per i paesaggi istoriati con raffigurazioni classiche, sulla tradizione dei grandi vedutisti – italiani e non – attivi a Roma nel XVIII secolo. Particolarmente significativo in questo senso è un dipinto come l’Episodio classico trattato dalla Galleria Carlo Virgilio (olio su tela, 1810 ca.), in cui gli effetti drammatici del mare in tempesta e delle nubi cariche di pioggia rendono il dipinto quasi un unicum all’interno del paesaggismo neoclassico. Fortemente divergente risulta invece un’opera come La cascata di Tivoli (olio su tela, 1810, Milano, Galleria d’Arte Moderna), esposta a Brera e acquistata da Eugenio de Beauharnais, che si riallaccia al paesaggio arcadico-eroicizzante di Van Bloemen e mostra affinità piuttosto strette con la pittura di Thomas Patch, in un’accezione tuttavia già preromantica, precorritrice degli esiti di Massimo d’Azeglio.
Basiletti si espresse con qualità sostenuta e un lessico aggiornato e alla moda anche nel genere del ritratto, dove sembra volersi confrontare con la pittura di David e della sua scuola – Ingres in primis -, come dimostra il bellissimo Ritratto della contessa Marianna Cigola Balucanti e tre dei suoi figli (olio su tela, 1812, Montichiari, Museo Lechi), francese nella composizione, nell’estetica del quotidiano e nell’esecuzione superbamente raffinata, ma con un’eco della tradizione più squisitamente lombarda ravvisabile nella caratterizzazione espressiva dei personaggi.