Il pittore Teodoro Matteini nasce a Pistoia il 10 maggio 1754 da Ippolito, modesto quadraturista che lo avvia alla pratica artistica. Grazie al sostegno del cavaliere Niccolò Forteguerri, per il quale il padre aveva eseguito le decorazioni della villa, nel 1770 Matteini si trasferisce a Roma per ottemperare al canonico periodo di formazione a contatto con i capolavori del passato e la statuaria antica. Nell’Urbe l’artista frequenta lo studio dell’affermato e stimatissimo Pompeo Batoni e i corsi dell’Accademia del nudo in Campidoglio, vincendo nel 1771 il secondo premio nella terza classe di pittura del Concorso Clementino con una copia dell’Apollo di villa Medici. L’anno seguente Matteini vince il primo premio nella prima classe di disegno alla prova semestrale dell’Accademia del nudo, divenendo poi allievo di Domenico Corvi. Nel 1776 l’artista risulta censito presso l’abitazione di Tommaso Puccini, raffinato erudito e avvocato da anni introdotto nei più illuminati circoli culturali della città, potendo così farsi conoscere e apprezzare nell’ambiente dei collezionisti e dei conoscitori d’arte. Tra questi figura il generale Federico Manfredini, per il quale il Nostro dipinge nel 1779 L’allegoria dell’affidamento al marchese Manfredini dei piccoli arciduchi Francesco e Ferdinando (olio su tela, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti) in un linguaggio già altamente classicheggiante che risente delle novità stilistiche introdotte da Antonio Cavallucci.
La prima occasione per il pittore di farsi apprezzare ad un livello pubblico risale al 1784, quando realizza gli affreschi sui pennacchi della prima e della terza cappella della navata destra nella chiesa di San Lorenzo in Lucina rappresentanti L’apoteosi di san Lorenzo e L’apoteosi del beato Francesco Caracciolo, purtroppo andati perduti. Il primo successo sulla scena artistica capitolina è invece del 1786, quando dipinge ed espone a villa Medici il dipinto con Angelica e Medoro (perduto), commissionatogli da Lord Bristol per il tramite del suo agente Alexander Day e recensito favorevolmente sui periodici romani “Giornale delle Belle Arti” e “Memorie per le Belle Arti”.
Al 1794 risale il trasferimento del pittore a Firenze su istanza dell’abate Puccini, che nel frattempo era diventato direttore della Galleria degli Uffizi e segretario dell’Accademia di Belle Arti, dove termina la pala con La morte di sant’Andrea Avellino per la chiesa di San Giovanni Fuorcivitas a Pistoia, iniziata quattro anni prima. Nel 1796 il granduca Ferdinando III Asburgo-Lorena invia l’artista a Milano per eseguire una copia del Cenacolo di Leonardo da Vinci. Qui il Matteini si accosta agli esiti figurativi di Andrea Appiani e viene impiegato dall’aristocrazia lombarda per la realizzazione di ritratti all’anglosassone, come nel caso del Ritratto di Alberico XII Barbiano di Belgioioso con la figlia marchesa Litta (olio su tela, 1797, Bellagio, Villa Melzi).
Nel 1799 il pittore compie un breve viaggio a Padova dove ha modo di frequentare il bibliofilo e collezionista Giovanni De Lazara, tra i pionieristici studiosi a cui si deve la riscoperta dei Primitivi, che ritrae in più occasioni. L’apice della carriera del Matteini può individuarsi nel 1800, quando gli viene commissionato il Ritratto di Pio VII (olio su tela, Venezia, Museo Correr), appena eletto al conclave di Venezia, che viene eseguito dal vero.
Al 1802 risale la nomina dell’artista a professore di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, che due anni dopo gli conferisce l’incarico di maestro della classe di disegno.
Morì a Venezia il 16 novembre 1831.
In un lessico grazioso ma non per questo privo di rigore formale e aulica sensibilità classicista, come in scultura riuscì ad esprimersi Antonio Canova, col quale difatti Matteini non mancò di confrontarsi, il pittore si fece apprezzare prevalentemente per i piccoli ritratti a figura intera nei quali i protagonisti sono spesso inseriti in pittoreschi paesaggi frondosi, secondo la moda di gusto anglosassone che aveva il suo miglior alfiere in Batoni.
La Galleria presenta un’opera dal tenero fascino struggente appartenente alla piena maturità del Matteini assai affine al lessico dell’Appiani, una Ragazza con medaglione (olio su tela, 1797) in cui la graziosa protagonista è seduta con fare malinconico in un suggestivo paesaggio boschivo, nella mano sinistra tiene un medaglione con il profilo del proprio amato, un ufficiale francese impegnato nelle campagne d’Italia.
In merito alla produzione di carattere sacro del pittore, può qui citarsi La predica di san Bernardino (olio su tela, 1792, Perugia, oratorio dei santi Andrea e Bernardino) dipinta per il Duomo di Perugia, in cui riprende schemi compositivi e gestualità neobarocche, vicine ai modi di Bernardino Nocchi.
Teodoro Matteini (Pistoia, 1754 – Venezia, 1831) Ritratto di giovinetta con medaglione 1797 Olio su tela, 67 x 49,5 cm Firmato e datato in basso a destra: “Teodoro Matteini / f.[fece] in Berg.[amo] / 1797” Provenienza: Bergamo, collezione Davide Cugini; Bologna, collezione Eugenio Busmanti All’ombra di una quinta boscosa, che si apre in…