Stefano Tofanelli nasce a Nave, nei pressi di Lucca, il 25 settembre 1752 da Andrea e Maria Domenica Baroncelli. A soli dieci anni viene mandato ad imparare i rudimenti della pittura da Antonio Luchi detto il Diecimino, facendo la conoscenza del condiscepolo Bernardino Nocchi, con il quale stringerà un legame d’amicizia forte che perdurerà tutta la vita. Significativo è il bellissimo Autoritratto con il padre, il fratello Agostino e Bernardino Nocchi (1783, Museo di Roma), un olio su tela in cui il nostro vuole rendere omaggio all’amico, raffigurato in un ritratto ovale su cavalletto.
Tra la fine del 1768 e gli inizi dell’anno successivo i due si trasferiscono a Roma, grazie ad una pensione concessagli dalla nobiltà lucchese, e non riuscendo ad essere accettati tra gli allievi di Pompeo Batoni, entrano nella bottega di Nicola La Piccola (di origine calabrese, divenuto in quegli anni Pittore dei Sacri Palazzi Apostolici). Nocchi e Tofanelli collaborarono quindi con il maestro ai lavori di Villa Giulia, di Palazzo Stoppani e di Palazzo Chigi ad Ariccia, perfezionando la propria tecnica ed ampliando i propri orizzonti culturali.
Dal 1774 circa Tofanelli si affrancherà dal La Piccola per muovere i suoi primi passi in autonomia, divenendo, grazie alle eccelse capacità disegnative, tra gli artisti più richiesti nel campo dell’incisione, lavorando specialmente per Giovanni Volpato prima (celebri le stampe dalle Stanze Vaticane di Raffaello) e per Raffaello Morghen poi.
Molto richiesto a partire dagli anni ’80 come ritrattista (si ricordano i ritratti del conte Alessandro Castracane, di Paolino Santini e della moglie, di Carlo Albacini, di Christopher Hewetson).
Dopo una breve sosta a Firenze presso il Morghen nel 1801, a cui risalgono gli affreschi in chiaroscuro allogatigli dal marchese Pietro Torrigiani, Stefano si stabilisce definitivamente a Lucca, dedicandosi con passione all’insegnamento (all’Università di San Frediano prima, e al liceo Felice poi), rifiutando la chiamata a Madrid di Carlo IV su proposta del cardinal Despuig.
Nominato da Napoleone a Bologna nel 1805 Senatore del principato di Lucca, Tofanelli divenne il pittore di corte di Elisa Baciocchi Bonaparte. Negli ultimi anni di attività, oltre ai lavori per la Baciocchi (vari ritratti e la decorazione del suo appartamento in Palazzo Pubblico con Storie di Achille), fu attivo anche per la nobiltà della lucchesia, decorandone ville e palazzi, con uno stile ormai consolidato e piuttosto ripetitivo, realizzando storie in chiaroscuro di soggetto mitologico (Palazzo Cenami, Villa Saltocchio). Muore a Lucca il 29 novembre 1812.
Molto richiesto a partire dagli anni ’80 come ritrattista (si ricordano i ritratti del conte Alessandro Castracane, di Paolino Santini e della moglie, di Carlo Albacini, di Christopher Hewetson), tra le prime opere autonome e mature occorre ricordare Christopher Hewetson davanti al monumento funebre di Richard Baldwin (1783), un dipinto ricordato dalle fonti ma che è stato riscoperto solo in tempi recenti.
A partire dal 1784 inizia a lavorare, su commissione del marchese Luigi Mansi, a quello che è considerato il capolavoro del pittore: la decorazione con storie di Apollo per Villa Mansi a Segromigno. Nell’aprile 1785 termina ed espone a Roma Il Carro del Sole da collocare sul soffitto della villa, mentre tra 1787 e 1789 realizza i due laterali raffiguranti Apollo e Marsia ed Apollo e Midia. Nel 1790 si reca a Lucca per sistemare le due grandi tele, concludendo i lavori nel 1792 inviando da Roma le quattro sovrapporte (Apollo e Dafne, Apollo e Giacinto, Apollo e Ciparisso, Apollo e Coronide).
Al tempo dei lavori per Luigi Mansi (di cui realizzerà anche il ritratto, conservato presso Palazzo Pitti a Firenze), Tofanelli viene impegnato in un’altra commissione di prestigio, un dipinto per Palazzo Altieri a Roma rappresentante l’Apoteosi di Romolo (1788-1792). Per le opere di questi anni, oltre a Raffaello e la scultura greco-romana, è riscontrabile il forte influsso di Anton Raphael Mengs e della pittura classicista del Seicento emiliano.
Nel 1795 dipinge l’Assunta per la Pieve di Vorno, di stampo guercinesco, mentre nell’anno successivo licenzia il Martirio di San Secondo per l’omonima chiesa di Gubbio, dove mostra tangenze con il Martirio di Sant’Erasmo di Poussin.
Il suo linguaggio estremamente personale, caratterizzato da asciuttezza e rigore formale, che gli consentì di dispiegare con maestria l’adesione ai due canoni estetici per eccellenza del Neoclassicismo, Raffaello e l’Antico, si mantenne costante ed elevato fino alle ultime opere, come nell’Assunta eseguita nel 1808 per il Duomo di Lucca.