Il pittore Pietro Benvenuti nacque ad Arezzo nel 1769, formandosi fin da giovane presso lo studio di Giovanni Cimica, per poi entrare nel 1785 come studente dell’Accademia di Belle Arti fiorentina, dove si distinse per le sue doti disegnative. Nel 1790 il pittore vinse, come unico partecipante, il concorso annuale indetto dall’istituto accademico, presentando il dipinto Enea fugge dall’incendio di Troia (olio su tela, trafugato in epoca napoleonica e ad oggi è disperso). Terminato il periodo di studi fiorentino, Benvenuti si trasferì a Roma nel 1792 per perfezionarsi con il pittore Antonio Cavallucci, frequentando in contemporanea l’Accademia de’ Pensieri tenuta da Felice Giani, come testimoniano alcuni disegni tra cui quello con Acrisio e Danae. In un lasso di tempo piuttosto breve, il pittore iniziò a farsi notare per le sue doti rare, e oltre ad inviare dei saggi pittorici alla Fraternità dei Laici aretina, che lo finanziava fin dalla sua giovinezza, ottenne le prime importanti commissioni, come il Martirio di san Donato (olio su tela) realizzato nel 1794 per il Duomo di Arezzo, a cui seguì immediatamente la commessa per l’affresco per il Palazzo vescovile, raffigurante l’Allegoria della Pace e della Giustizia. Nel 1799 il pittore venne nominato professore di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze, mentre nel 1800 gli fu fatto l’onore dagli accademici di San Luca di entrare a far parte della prestigiosa istituzione. Al 13 ottobre 1803 risale la nomina del Benvenuti a direttore e maestro di pittura della Reale Accademia di Firenze, evento che ne sancì la definitiva consacrazione, ponendolo di fatto come l’arbitro di tutta la scena artistica toscana (e non solo). Da questa data in poi, oltre agli impegni istituzionali, il pittore venne investito da innumerevoli commissioni da parte della corte napoleonica prima, per la quale fu apprezzato ritrattista, e per quella di Ferdinando III di Asburgo e Lorena – per quest’ultimo nel 1814 il Benvenuti eseguì, insieme ai propri allievi, gli addobbi e gli apparati effimeri per la festa in onore del suo ritorno a Firenze. L’anno successivo il pittore venne inviato a Parigi in occasione della missione diplomatica che aveva lo scopo di riportare in patria i capolavori trafugati durante l’occupazione francese. Morì a Firenze il 3 febbraio 1844.
Onorato dall’epiteto di David di Firenze riconosciutogli dalla stessa Elisa Baciocchi Bonaparte, Pietro Benvenuti è tra i pittori che più hanno contribuito a plasmare, e indirizzare, la corrente neoclassica italiana. Punta di diamante del Grande Stile europeo, il pittore si avvicinò agli esiti figurativi aggiornati sull’istanza davidiana durante il suo primo soggiorno romano, come testimonia l’Apollo Pizio (olio su tela, collezione privata): esposto in occasione della premiazione del concorso accademico del 1806, lodato dalla Regina Reggente Maria Luisa di Borbone, il dipinto è un saggio del vigore coloristico del pittore, della sua capacità di conferire nobiltà alle forme come conseguenza degli studi sulla statuaria classica.
Gli affreschi realizzati nella Sala di Ercole di Palazzo Pitti (1817-1829) sono unanimamente riconosciuti tra i vertici più puri del neoclassicismo europeo. L’immenso ciclo decorativo, iconograficamente derivato dal mito di Ercole, tema particolarmente frequentato per la celebrazione di una casa regnante, attese il pittore per lungo tempo, come si evince dalle lunghe fasi progettuali, di studio e di invenzione che si rivelano nei numerosi disegni e bozzetti. Le storie sono percorse da figure monumentali, dal disegno preciso e dalle partiture cromatiche che ne accentuano la plasticità, i gesti calibrati ma decisi e vigorosi.
La Galleria ha trattato alcune opere del Benvenuti, tra cui un Ritratto di sua moglie ad olio su tela, di chiara estrazione davidiana, e un bellissimo disegno rappresentante San Giovanni Battista nel deserto (matita su carta grigia), uno studio di nudo dalle fattezze statuarie.
Tra le ultime fatiche dell’artista vanno ricordati gli affreschi con Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento eseguiti tra il 1828 e il 1836 sulla cupola della Cappella dei Principi in San Lorenzo, che mostrano una germinale apertura verso le incombenti istanze primitivistiche.
Raffinato e dotato ritrattista, il pittore immortalò l’effige di numerose personalità di spicco, tra cui quelle del vescovo Tommasi (olio su tela, 1795, Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca), di Maria Luisa d’Etruria con i figli (olio su tela, 1806, Firenze, Palazzo Pitti) e il bellissimo Ritratto di Maria Teresa d’Asburgo Lorena (olio su tela, 1817, Torino, Castello di Racconigi): a figura intera, il dipinto mostra l’arciduchessa seduta su una poltrona retour d’Egypte, impreziosita da stoffe leggere dalle pieghe sinuose, il viso sereno dai tratti delicati e ammalianti.