Nato a Roma il 12 febbraio 1902 da padre ignoto, il pittore Mario Mafai deve il suo cognome a un’invenzione fatta al momento della nascita. Avviato dalla madre a studiare presso un liceo scientifico per diventare ingegnere elettronico, le difficoltà in matematica spinsero l’artista a dirottare verso l’istituto tecnico per diventare perito edile. Intorno ai quindici anni, spinto dalla vocazione artistica, il pittore prese a frequentare i corsi serali della scuola preparatoria alle arti ornamentali del Comune di Roma tenuti da Antonino Calcagnadoro, riconosciuto in futuro dal Mafai stesso come il suo vero maestro. A partire dal 1921 il Nostro, abbandonati definitivamente gli studi, completò il proprio periodo di formazione all’Accademia Britannica e all’Accademia di Francia a Villa Medici per esercitarsi sul nudo. Dopo la parentesi del servizio militare (1922-1924) il pittore conobbe Gino Bonichi (dal 1929 più noto con il soprannome Scipione), disegnatore autodidatta, che venne spinto a frequentare dei corsi regolari. I due si iscrissero dunque alla scuola libera del nudo annessa all’Accademia di Belle Arti, a cui si aggiunsero le visite allo studio di Ferrazzi e la frequentazione della Biblioteca di archeologia e storia dell’arte di Palazzo Venezia, che gli spalancò la conoscenza dei grandi maestri del passato.
Nel 1925, grazie al sostegno accordatogli da Cipriano Efisio Oppo, Mafai e Scipione poterono presentare fuori catalogo le loro opere alla III Biennale romana, in uno stile che molto deve alle suggestioni fauviste e visionarie introdotte da Antonietta Raphaël, futura moglie del Nostro.
Al 1927 risale la partecipazione del pittore al pensionato artistico nazionale, che tuttavia non si risolse in senso positivo, iniziando ad esporre i propri dipinti alle rassegne di orientamento più democratico che a Roma permettevano ai giovani artisti di assicurarsi un minimo grado di visibilità.
Dopo le esperienze del 1929 alla Società Amatori e Cultori di Belle Arti dove presentò Giovane e arancio e Case disabitate (dispersi) e quella indetta dall’associazione Il Convegno, dove un Ritratto di donna venne acquistato da Margherita Sarfatti, Mafai e Antonietta decisero di partire alla volta di Parigi. L’artista tornò comunque in Italia molte volte, come per l’inaugurazione della doppia personale che lo vide celebrato insieme all’amico Scipione allestita presso la Galleria Bardi di Roma (novembre 1930). Stimolato dalle novità con cui entrò in contatto nella capitale francese il pittore inaugurò una fase di intensa ricerca creativa che si manifestò nella creazione di opere in cui la realtà viene indagata nelle sue accezioni più intime e meditative, presentate poi alla III Sindacale del Lazio e, per la prima volta, alla Biennale di Venezia del 1932.
Il successo definitivo del pittore si palesò nel 1935 con la personale riservatagli alla II Quadriennale di Roma, cui fece seguito la mostra itinerante inaugurata a San Francisco dal titolo “Exhibition of Contemporary Italian Paintings”.
Per sottrarre la moglie Antonietta alle leggi razziali l’artista nel 1939 si spostò a Genova e presenziò alla seconda mostra di “Corrente” presso la Galleria Grande di Milano, mentre l’anno successivo risultò vincitore del Premio Bergamo grazie al dipinto Modelli nello studio (olio su tela, 1940, Milano, Pinacoteca di Brera).
Durante l’ultima fase della propria attività il pittore andò abbandonando, progressivamente ma inesorabilmente, la figurazione, come attestano le opere presentate alla seconda personale tenuta nel 1957 presso la galleria La Tartaruga di Roma, salutata da un testo critico di Lionello Venturi, e soprattutto alla XXIX Biennale di Venezia, dove la serie dei Mercati consiste in dipinti espressione di puri valori cromatici.
Morì a Roma il 31 marzo 1965.
Tra i promotori di quella che Roberto Longhi chiamò “Scuola romana di via Cavour” proprio in merito alla via dove Mafai aveva lo studio, il pittore improntò la propria febbrile ricerca figurativa, in simbiosi con la moglie Antonietta Raphaël, nel tentativo di corrodere le strutture del classicismo facente capo al gruppo Novecento. Ciò si tramutò in un moderno e sperimentale uso della luce e del colore, fattisi più intensi e declinati in una chiave più emotiva, che in Mafai si sostanziò attraverso ritmi misurati e toni dimessi, come apprezzabile nella serie delle Demolizioni (olio su tela, 1936, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), una denuncia alla politica urbanistica del regime fascista.
Le influenze del fascinoso mondo parigino, e specialmente le ricerche condotte sulla luce da Filippo De Pisis, possono leggersi nella produzione del Mafai votata alla natura morta e ai nudi, come in Nudo a riposo (olio su tavola, 1933, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), dalla pennellata espressionista e feroce, e le tinte cromatiche accese e frementi.