Nato a Pistoia il 27 febbraio 1901, lo scultore e pittore Marino Marini frequenta a partire dal 1917 l’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove segue i corsi di Galileo Chini e Domenico Trentacoste. La fase iniziale della sua carriera è caratterizzata prevalentemente dalla pittura e dall’attività grafica, esordendo nel 1923 con alcuni dipinti di paesaggio in una collettiva livornese, per esporre poi la Deposizione (acquaforte, Musei Vaticani) alla II Biennale di Roma. A partire dal 1922 si assiste al progressivo intensificarsi dei suoi interessi verso l’attività plastica e l’avvicinamento alle sperimentazioni di Arturo Martini, conosciuto nel 1927 in occasione della III Mostra delle Arti Decorative di Monza. Proprio quest’ultimo nel 1929 individua nello scultore la persona più idonea per succedergli sulla cattedra di scultura dell’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Monza.
Nel frattempo l’artista nel 1926 aveva soggiornato per un periodo a Firenze e nel 1928 aveva partecipato alla seconda mostra milanese del gruppo “Novecento”, teorizzato e promosso da Margherita Sarfatti e volto al recupero della tradizione figurativa italiana. Nel 1929 Marini è a Parigi dove entra in contatto con De Pisis e Picasso, espone a Nizza e ottiene il diploma d’onore all’Esposizione Internazionale di Barcellona, imponendosi e facendosi apprezzare come lo scultore dal lessico antiretorico ed intimista, ravvisabile in opere quali Ersilia (legno policromo, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), esposta alla XVII Biennale di Venezia del 1930.
Nel 1932 l’artista è invitato da Gino Severini a partecipare alla “Mostra degli italiani a Parigi” svoltasi in seno alla Biennale di Venezia, e viene nominato membro onorario dell’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Alla seconda Quadriennale romana del 1935 Marini ottiene un ampio successo e vince il primo premio per la scultura grazie a opere come l’Autoritratto (gesso policromo, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) e Icaro (legno, collezione privata), di una durezza esistenziale che divide i giudizi della critica. Nel 1937 partecipa all’Esposizione Universale di Parigi in cui vince il Grand Prix e ottiene l’ingresso di una sua scultura, il Pugile (Parigi, Centre Georges Pompidou), all’interno delle collezioni statali francesi.
Abbandonata la cattedra di Monza nel 1940 per trasferirsi a Milano e insegnare all’Accademia di Brera, nel 1943 lo scultore è costretto a rifugiarsi in Svizzera a causa dello scoppio della guerra, dove comunque può aggiornarsi sulle realtà artistiche europee più avanzate grazie all’incontro con Wotruba, Giacometti, Germain Richier ed altri.
Nel 1948 l’artista espone sia alla Quadriennale di Roma che alla Biennale di Venezia, dove allestisce una personale, e nello stesso anno conosce il mercante e gallerista Curt Valentin, che lo introduce presso il mercato americano e lo invita a New York. Così nel 1950 lo scultore soggiorna per alcuni mesi nella città americana, dove espone con successo le sue opere e intreccia legami con la famiglia Rockefeller. Di questi anni è la riflessione in chiave drammatica e fatalista, che riflette le inquietudini esistenziali del Nostro, del tema equestre concretizzatosi nella serie dei Miracoli (bronzo, 1953, New York, MoMA).
Nel 1954 a Marini viene assegnato il premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei, mentre al 1957 risale la nomina ad accademico di San Luca.
Gli anni ’60 e ’70 vedono la continua ascesa della fama internazionale dello scultore (si pensi alla retrospettiva del 1966 curata da Carandente a Palazzo Venezia), che ottiene numerosi riconoscimenti ed è presente nei principali musei del Mondo, dando inizio a quella stagione di donazioni che saranno il presupposto per la creazione delle istituzioni museali che portano il suo nome (a Milano, a Pistoia e a Firenze).
Muore a Viareggio il 6 agosto 1980.
Fortemente influenzata nei primi anni dall’opera di Medardo Rosso, la ricerca formale di Marini si sviluppa attraverso un recupero profondo di modelli plastici eterogenei, ma comunque appartenenti ad epoche remote, come la scultura egizia, greco-romana, gotica e romanica, in stretta affinità con le sperimentazioni di Arturo Martini. Il gruppo scultoreo Popolo (terracotta, 1929, Milano, Galleria d’Arte Moderna), inviato all’Esposition d’art italien moderne di Parigi, è ad esempio condotto sulla scorta dei sarcofagi etruschi di Chiusi e Cerveteri, con le due figure maschili affiancate in un abbraccio ma prive delle braccia, secondo un consapevole utilizzo del non finito che ne accentua il gusto archeologico.
Successivamente lo scultore si orientò verso forme dai volumi più compatti e geometrizzanti, come nel caso della serie dei Cavalieri (gesso policromo, 1953, Città del Vaticano, Musei Vaticani), ispirata al Nostro dalla visione del cavaliere gotico del Duomo di Bamberga, realizzati in numerose varianti ma tutti animati da una convulsa tensione sottolineata dagli spessi segni neri.
Artista a 360°, Marini si occupò della tematica del cavaliere e del cavallo anche in numerosi dipinti e opere grafiche, sempre con la stessa attenzione alla traduzione formale di spasmi drammatici attraverso un linguaggio stilizzato e geometrizzante, fatto di masse cromatiche vivaci.