Il pittore Giulio Aristide Sartorio nacque a Roma l’11 febbraio 1860 e venne avviato alla pratica artistica in seno all’ambiente familiare, per poi frequentare a partire dal 1876, seppur in maniera discontinua, l’Accademia di San Luca e i corsi di Francesco Podesti, arricchendo la propria formazione attraverso lo studio della statuaria antica e della tradizione pittorica rinascimentale e barocca. Le ristrettezze economiche costrinsero tuttavia il pittore ad abbandonare gli studi per dedicarsi al lavoro, svolto come aiutante nelle botteghe di artisti, per poi entrare nello studio di Luis Alvarez Català e dedicarsi alla realizzazione di scenette aneddotiche.
Al 1883 risale l’esordio del pittore, quando presentò il dipinto Malaria (Dum Romae consulitur morbus imperat) (olio su tela, Buenos Aires, Museo Nacional des Bellas Artes) all’Esposizione Internazionale di Belle Arti di Roma, a cui fece seguito il viaggio a Parigi e la partecipazione all’Esposizione Universale di Anversa. In questo stesso periodo Sartorio iniziò la collaborazione con la rivista “Cronaca Bizantina”, in seno alla quale fece la conoscenza di Gabriele d’Annunzio, che lo spinse in direzione di un decadentismo estetizzante e simbolista. Diretta conseguenza di questo sodalizio fu la partecipazione di Sartorio alle illustrazioni dell’editio picta dell’Isaotta Guttadauro del celebre vate, progetto collettivo promosso dall’associazione In Arte Libertas di Nino Costa.
Tra il 1893 e il 1894 l’artista viaggiò in varie città dell’Inghilterra soggiornando a lungo a Londra, esperienza che si rivelò fondamentale per la maturazione del suo lessico, come testimonia la realizzazione del celebre dipinto La sirena (olio su tela applicato su tavola, 1893, Torino, Galleria d’Arte Moderna), riprodotto su “La Tribuna Illustrata” accompagnato da alcuni versi di Diego Angeli, che risente in maniera spiccata del simbolismo preraffaellita inglese.
Nel 1895, su invito del granduca di Weimar, Sartorio ottenne la cattedra di pittura presso la Scuola di Belle Arti, carica che attese per quattro anni e che gli diede la possibilità di avvicinarsi alle Secessioni e di studiare l’idealismo tedesco e la filosofia nietzscheana.
Nominato accademico di San Luca nel 1901, nel 1904 il pittore fu tra i fondatori del gruppo dei “XXV della Campagna romana”, mentre nel 1906 eseguì il fregio della Sala del Lazio all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Milano. I successi si protrassero alla Biennale di Venezia del 1907, dove il pittore licenziò il ciclo del salone principale, e con l’incarico ricevuto l’anno successivo per la decorazione della nuova aula di Montecitorio, portata a termine nel 1913 con un fregio allegorico che intendeva celebrare la storia d’Italia dai Comuni al Risorgimento, realizzato con una propria tecnica sperimentale che consentiva, grazie all’uso della cera, oltre a effetti di luminositĂ e trasparenza, una rapida stesura
Arruolatosi volontario di guerra nel 1915, il pittore fu quasi subito ferito e fatto prigioniero a Lucinico sull’Isonzo, condotto a Mauthausen e liberato nel 1917 per intervento di papa Benedetto XV. Tornato al fronte da civile come pittore di guerra, Sartorio venne nuovamente ferito nel 1918. Durante questo periodo realizzò, avvalendosi pure della fotografia, numerose opere dedicate a momenti del conflitto (esposte poi in una mostra in Campidoglio, a Roma, nel 1918).
Morì a Roma il 3 ottobre 1932.
Il linguaggio figurativo di Sartorio, così enigmatico e sfaccettato, non può essere compreso appieno se non si considerano la sua volontà di riallacciarsi alla tradizione classico-rinascimentale e la realtà culturale in cui si trovò ad operare, imbevuta di tendenze idealistiche ed estetizzanti. Manifesto delle inflessioni simboliste dell’artista è il dittico raffigurante Diana di Efeso e gli schiavi e La Gorgone e gli eroi (olio su tela, 1890-1899, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), presentato alla Biennale di Venezia del 1899, in cui attraverso il mito Sartorio aveva voluto esprimere due aspetti della vanità umana.
Appartenente alla tarda attività del pittore è invece il dipinto trattato dalla Galleria dal titolo La famiglia (o Mattina a Fregene) (olio su tela, 1929), che testimonia del dialogo tra pittura e fotografia su cui si spostò la sua riflessione, funzionale a sperimentazioni prospettiche e inedite inquadrature, e in cui sono apprezzabili simboliche trasparenze luministiche.