Il pittore e fotografo Federico Faruffini nacque a Sesto San Giovanni il 12 agosto 1833 e venne mandato appena quindicenne dal padre a Pavia per studiare Giurisprudenza, dove parallelamente frequentò la Civica Scuola di Pittura diretta da Giacomo Trécourt. Lo stimolante ambiente pavese, all’interno del quale il pittore si legò per altro ad una stretta amicizia con Tranquillo Cremona, era al tempo una fucina di sperimentazioni pittoriche che lasciavano più libero spazio creativo rispetto a quello milanese, assoggettato alla dominazione di Hayez. Particolarmente fecondi furono i contatti con l’esuberanza cromatica di Giovanni Carnovali. Tuttavia intorno al 1854 i rapporti di Faruffini col maestro si fecero tesi, tanto che quest’ultimo arrivò a proporne l’espulsione, quando però il Nostro aveva già lasciato Pavia alla volta di Milano nell’estate del 1855 per iniziare il tirocinio legale presso il tribunale. Nel 1856 il pittore esordì all’Esposizione annuale di Brera con il dipinto Cola di Rienzo che dalle alture di Roma ne contempla le rovine (olio su tela, 1855, Milano, collezione privata), che suscitò vive polemiche tra la critica per la predilezione accordata al colore e agli effetti luministici a discapito del disegno. Allo stesso 1856 risale il viaggio del pittore a Roma, dove oltre a studiare le opere dei grandi maestri del passato si accostò a pittori come Saverio Altamura e Domenico Morelli, condividendone le scelte antiaccademiche e le sperimentazioni cromatiche. Nell’Urbe Faruffini si interessò anche alle esperienze puriste di Adeodato Malatesta e Ivanov, come testimoniato dalla pala realizzata per il Duomo di Pavia con l’Immacolata Concezione. Tornato a Pavia nel 1858 il pittore vinse il concorso Frank della Scuola di Pittura grazie al dipinto di tema storico rappresentante la Presentazione del modello del Duomo di Pavia al vescovo Ascanio Sforza (olio su tela, 1857, Pavia, Musei Civici) che nella speranza di ricevere il consenso degli ambienti accademici – come di fatto avvenne, riscuotendo consensi anche quando fu esposto a Brera – cerca di conformarsi allo stile hayeziano. A partire dal 1859 il pittore iniziò a lavorare al grande quadro disposto per via testamentaria da Ernesto Cairoli, in riferimento al quale il Nostro scelse di raffigurare un tema di storia contemporanea, La Battaglia di Varese (olio su tela, 1862, Pavia, Musei Civici), uno dei primi tentativi di rinnovare la pittura di storia svincolandola dai rigidi precetti accademici. La vera svolta stilistica di Faruffini si intensificò a partire dagli anni ’60, quando soprattutto attraverso bozzetti ed acquarelli l’artista prese a dipingere per macchie di colore, concentrandosi sulle relazioni tra luce e forma. Trasferitosi a Milano nel 1861, Faruffini venne nominato l’anno seguente socio onorario dell’Accademia braidense, presentò alcune sue opere alla Società degli Acquarellisti di Bruxelles nel 1864 riscuotendo consensi e partecipò con regolarità alle esposizioni di Milano e Torino. Tuttavia il suo spirito inquieto, ribelle e insicuro mal digeriva la freddezza con cui parte della critica accoglieva le sue creazioni, cosicché il pittore decise a trasferirsi a Parigi nel 1865, dove continuò a dedicarsi all’acquaforte, ottenne una personale presso la galleria Cadart-Luquet e il suo dipinto avente per soggetto Borgia e Machiavelli vinse la medaglia d’oro al Salon del 1866. Ma lo stimolante ambiente parigino non aiutò a districare i nodi esistenziali dell’artista, che sempre più disorientato e mentalmente instabile prese a spostarsi in varie città, braccato dalle difficoltà economioche.
Sfiduciato e depresso a causa della scarsa considerazione concessagli dalla critica, morì suicida a Perugia il 15 dicembre 1869.
Artista dal talento cristallino e lo spirito ribelle, tormentato dall’anelito di coniare un lessico originale che superasse la stagione postromantica, oppresso da un’incurabile inquietudine esistenziale che lo condusse verso una fine tragica, le sue ricerche figurative, inizialmente rimaste incomprese, si rivelarono fondamentali per le generazioni successive. La sfida appassionata e ineluttabile intrapresa dal Faruffini, che fu una costante tensione creatrice volta a modernizzare i generi pittorici ben consolidati – specialmente quello di storia – e a sovvertire i canoni imposti dall’ambiente accademico, si risolse in opere come La vergine al Nilo (olio su tela, 1865, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Presentato all’Esposizione braidense del 1865, il grande dipinto è diviso in due livelli nettamente distinti, sia a livello narrativo che formale-luministico: la parte superiore, meglio riuscita, è infatti più vibrante e mossa, mentre quella inferiore risulta più fredda ed accademica.
La critica dei tempi più recenti, che ha notevolmente rivalutato la produzione del Faruffini riconoscendo al pittore un importante grado di originalità, ha per altro suggerito come una sorta d’inquietudine strisciante possa respirarsi nella maggior parte dei suoi dipinti, come nei casi della Saffo (olio su tela, 1865, Milano, collezione privata) e de La Lettrice (olio su tela, 1864, Milano, Civica Galleria d’Arte Moderna), ad oggi tra le opere più famose dell’Ottocento italiano.