Il pittore Domenico Del Frate nacque il 15 giugno 1765 a Lucca, figlio del modesto pittore Santi, che dovette insegnarli i rudimenti della pratica artistica prima di inviarlo a Firenze all’inizio del nono decennio. Nel 1783 il pittore è difatti ricordato come vincitore del primo premio nella seconda classe di disegno dell’Accademia di Belle Arti. A partire dal 1787 Del Frate è a Roma, ospite del più anziano concittadino e collega Bernardino Nocchi, che lo raccomandò per sostituirlo nell’esecuzione dell’affresco con Cerere chiede a Giove di riavere Proserpina nell’appartamento del cardinale segretario dei Brevi nel Palazzo della Consulta. Sempre su disegni del Nocchi e sotto la sua supervisione il pittore dipinse la volta della Galleria dei Quadri in Vaticano, dove eseguì soggetti tratti dalla storia antica con lo scopo di magnificare il mecenatismo di Pio VI. Del 1791 è un breve soggiorno del Del Frate in patria per collaborare con un altro concittadino, Stefano Tofanelli, che era impegnato nel completamento delle decorazioni di Villa Mansi a Segromigno.
A partire dal 1794, con il drastico diminuire delle commissioni da parte del governo pontificio, il pittore si allontanò dal Nocchi per avvicinarsi ad Angelika Kauffman e ad Antonio Canova, iniziando ad eseguire numerosi disegni tratti dalle opere dello scultore assai richiesti dal collezionismo internazionale.
Nel 1798 il pittore è chiamato a partecipare alla decorazione dell’arco di trionfo eretto in occasione della Festa della Federazione all’inizio di Ponte Sant’Angelo, realizzando La presa di Trento e Bassano, le battaglie di Castiglione e Solferino, un’Allegoria del Tevere e parte del fregio con il Passaggio delle Alpi da parte delle truppe francesi – il ricordo del quale ci è tramandato da un dipinto di Felice Giani conservato a Palazzo Braschi. La prima commissione del pittore di un certo rilievo eseguita in piena autonomia risulta essere quella dei lavori nella villa Torlonia sulla Nomentana, dove licenziò al centro del soffitto del salone l’affresco con Il carro del Sole e le Muse ai lati. Grazie all’amicizia del Canova Del Frate entrò in contatto con la nobile famiglia polacca dei Tarnowsky, che lo chiamò in Polonia nel 1804 con lo scopo di installare nel loro palazzo di Dzikow la statua canoviana del Perseo. Per la famiglia il pittore eseguì quindi numerosi ritratti, una Madonna attorniata da angeli per la cappella del palazzo, un dipinto allegorico raffigurante La Polonia in lacrime per la biblioteca di Horochow e due grandi tele con La gloria dei Tarnowsky, dipinte però a Roma e inviate nel 1810. Nel 1813 Del Frate venne nominato professore dell’Accademia di San Luca, iniziando nello stesso anno l’affresco nella Sala dell’Ercole e Lica di Palazzo Torlonia con Le nozze di Ercole ed Ebe, distrutto nel 1842 dal principe Alessandro.
Chiamato dalla nuova reggenza borbonica a far ritorno al Lucca per partecipare al riammodernamento di Palazzo Ducale, tra il 1818 e l’anno successivo il pittore realizzò gli affreschi sui soffitti di cinque sale.
Morì a Roma l’11 novembre 1821.
Disegnatore di straordinario talento, Del Frate eccelleva nella traduzione grafica di sculture antiche, il che gli consentì di essere chiamato a lavorare nelle raccolte d’incisioni più importanti, come quella dell’Iconographie romaine di Ennio Quirino Visconti quando nel 1803 venne fatto il suo nome al cardinale Fesch dal direttore dell’Accademia di Francia Suvée.
Per quanto concerne l’attività pittorica, Del Frate denuncia, senza esitazioni né brusche oscillazioni, la sua adesione ad un lessico epurato, neoclassico nel più elevato senso antiquariale, di nobile e semplice rappresentazione di gesta e azioni universali. Su tali basi, che si riallacciano alla produzione del più anziano Stefano Tofanelli non trascurando tuttavia una riflessione sulle anticipazioni proposte da Mengs, è condotto il ciclo decorativo di Palazzo Ducale a Lucca, tra cui spicca La Sapienza circondata dalla Giustizia, Temperanza, Prudenza e Fortezza sul soffitto della Sala del Trono.
Nel genere del ritratto, di cui oggi ci rimangono pochi esemplari certi, il pittore mostra di aver voluto emanciparsi dal linguaggio classicista per volgersi verso sperimentazioni già di gusto protoromantico, dal tono più austero e malinconico, come si può apprezzare nei ritratti ancora di proprietà della famiglia Tarnowsky.