Il pittore, politico e scrittore Massimo Taparelli d’Azeglio nacque a Torino il 24 ottobre 1798 in una famiglia fortemente cattolica, quartogenito del marchese Cesare che tuttavia non riuscì a trasmettere i valori religiosi al figlio. Dopo un lungo soggiorno a Firenze, D’Azeglio tornò a Torino nel 1807, senza tuttavia interessarsi troppo alle vicende politiche. Quando difatti il pittore si recò a Roma nel 1814 seguendo il padre che vi era stato chiamato come ministro presso la Santa Sede, fu attratto dai piaceri e condusse una vita piuttosto epicurea, anche dopo il suo ritorno nel capoluogo piemontese. Fu grazie all’influsso di un amico, Giovanni Bidone, che D’Azeglio ricominciò a studiare lettere prendendo poi nel 1820 la decisione di trasferirsi a Roma per dedicarsi completamente allo studio delle arti, in deroga alle norme sociali. Suo primo maestro nella capitale fu don Ciccio de Capo, che tuttavia non si rivelò di grande aiuto per il giovane entusiasta.
Durante il suo secondo soggiorno romano D’Azeglio si avvicinò al pittore fiammingo Martin Verstappen, accompagnandolo nelle sue passeggiate nella campagna e ai Castelli romani per studiare il paesaggio dal vero. Da questi momenti di studio e spensieratezza nacque la prima opera ad olio del pittore, ad oggi dispersa, che rappresentava la veduta di un castello con il Soratte sullo sfondo, criticata aspramente dallo stesso D’Azeglio.
Al 1838 risale il primo soggiorno fiorentino dell’artista, dove entrò in contatto con un vasto circolo di intellettuali tra cui Gino Capponi e il marchese Carlo Luigi Torrigiani. Scrisse in questi anni il suo secondo romanzo storico, Niccolò de’ Lapi, avvicinandosi con sempre più convinzione agli ideali libertari. Nel 1848, in qualità di colonnello, prese parte alle operazioni militari per la difesa di Vicenza, rimanendo ferito durante la ripiegata di Monte Berico.
La sua carriera artistica fu per ovvi motivi subordinata a quella politica, e l’unica fase della sua vita in cui poté dedicarsi con serenità alla pratica pittorica segue la decisione di lasciare l’attività politica nel 1852, dopo aver retto per quattro anni la Presidenza del Consiglio dello Stato sabaudo. Grazie ai numerosi appunti grafici e bozzetti realizzati durante la sua gioventù, confluiti poi nelle collezioni pubbliche torinesi, il pittore diede sfogo alla sua vena romantica dipingendo paesaggi dal forte valore sentimentale e morale, come il bellissimo Bosco con bravo in agguato (olio su tela, 1858, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), un chiaro omaggio al Manzoni, del quale aveva sposato la figlia Giulia nel 1831.
Nel 1855 il pittore subentrò al fratello Roberto come direttore della Pinacoteca di Torino. L’ultima opera dipinta dal D’Azeglio fu L’incontro di Ulisse e Nausicaa del 1862. Morì a Torino il 15 gennaio 1866.
Il pittore dedicò gran parte della sua ricerca figurativa alla realizzazione di paesaggi storici, attingendo tuttavia, più che al repertorio classico, a quello medioevale, soddisfacendo così da un lato le richieste di una committenza europea sempre più invaghita da temi e ambientazioni risalenti all’Età di mezzo, dall’altro dando libero sfogo alle temperie libertarie dell’Italia preunitaria. Si inserisce all’interno della cornice appena tracciata un dipinto come Difesa di un castello (olio su tela, 1830 ca., Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), che pittoricamente mostra dei chiari legami con la grande tradizione del paesaggismo romano di stampo arcadico (Anesi, Vanvitelli, Van Bloemen ecc.) per la modalità specifica e particolare con cui la luce dorata viene utilizzata accordando effetti morbidi e temperati, nonché la conoscenza dei grandi battaglisti a cavallo tra XVII e XVIII secolo, con agguerriti soldati a cavallo in primo piano e scontri tumultuosi sui piani arretrati. Non erano mancati tuttavia dipinti che prendevano a modello episodi storico-mitologici, pur declinati in paesaggi già dagli accenti romantici, come la Morte di Leonida (olio su tela, 1823, Castello di Racconigi), dalla pennellata libera e furente che lascia segni vigorosi sulla superficie pittorica. Con le opere più mature del pittore si affacciano nella sua arte presagi atmosferici dalle tonalità crepuscolari, impianti luministici meno “arcadici” e soggetti più marcatamente sentimentali, come nel bel La morte di Zerbino del 1839 (olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera).