Tra le personalità che più hanno contribuito a plasmare l’arte del XX secolo e forse la più genuina incarnazione del movimento futurista, il pittore e scultore Umberto Boccioni nacque a Reggio Calabria nel 1882. Dopo essersi diplomato presso l’Istituto Tecnico di Catania l’artista, in disaccordo con i propri genitori, si trasferì nel 1899 a Roma, dove frequentò i corsi della Libera Scuola del Nudo e contemporaneamente di grafica pubblicitaria con Giovanni Maria Mataloni.
Dopo aver partecipato alle Mostre Annuali degli Amatori e Cultori di Belle Arti nel 1904 e nel 1905, Boccioni vinse nel 1906 una borsa di studio che gli consentì di soggiornare alcuni mesi a Parigi, dove avvenne il fatidico incontro con l’opera di Cézanne. Dopo un breve viaggio in Russia, il pittore si trasferì a Venezia, dove si iscrisse all’Accademia di Belle Arti, abbandonata subito dopo per spostarsi a Milano, cercando di placare l’inquietudine che nasceva dalla volontà di superare l’impasse divisionista. Si rivela dunque fondamentale per Boccioni l’incontro nel 1908 con Previati e con la sua Tecnica della pittura, che lo indirizza verso una pennellata filante e luminosa. Da qui, l’artista approda ad un linguaggio dalle cadenze liberty, confluito in dipinti come il Ritratto della signora Massimino (olio su tela, 1908, Milano, collezione Palazzoli).
Nel 1910 il pittore redige, insieme a Carrà, Balla, Severini e Russolo il Manifesto tecnico dei pittori futuristi, dando avvio a quella roboante stagione che vede il gruppo esporre in numerose occasioni: prima negli spazi della Famiglia Artistica a Milano, poi a Ca’ Pesaro in una mostra allestita da Nino Barbantini. Al 1911 risale un secondo viaggio a Parigi dove lo scultore s’interessò della scomposizione della forma praticata dal cubismo analitico, dando vita a dipinti come La risata (olio su tela, 1911, New York, MoMA) e La materia (olio su tela, 1912, Venezia, collezione Peggy Guggenheim), presentato al Teatro Costanzi di Roma nel 1913.
Divenuto tra gli animatori delle cosiddette “serate futuriste, l’artista redasse nel 1912 il Manifesto tecnico della scultura futurista con l’intento di allargare le sperimentazioni dinamiche all’arte plastica, esponendo in quello stesso anno al Salon d’Automne.
Convinto interventista, Boccioni si arruolò volontario una prima volta nel novembre del 1915, facendo poi ritorno a Milano dove riprese le sue attività artistiche, scrivendo altresì per numerose riviste – come “La voce”. Nel luglio 1916 il pittore decise di tornare in guerra e venne assegnato al regimento artiglieri di Verona, dove morì il 17 agosto a seguito di una caduta dalla sua cavalla.
Probabilmente Umberto Boccioni fu l’artista che meglio seppe incarnare i valori del Futurismo, nella sua accezione più totalizzante. Artefice di un’arte che vuole rivoluzionare sia i concetti di spazio che quelli del colore, in aperta lotta contro il passato, – e in effetti il futurismo nacque proprio come risposta violenta contro il passatismo – in dipinti come La città sale (olio su tela, 1910-1911, New York, MoMA) possono leggersi gli antefatti divisionisti e simbolisti da cui il movimento prese avvio, almeno sul piano tecnico-stilistico. Ma qui il pittore interpreta in chiave assolutamente innovativa la modernità, il tema della città che cresce, attraverso l’energia che metaforicamente si sprigiona dalla tensione propulsiva di uomini e animali.
In merito all’attività plastica di Boccioni non può non citarsi la scultura dal titolo Forme uniche nella continuità dello spazio (bronzo, 1913, New York, MoMA), talmente celebre da essere diventata quasi un manifesto dell’intero movimento figurativo, in cui la figura quasi si fonde con l’aria e avanza nello spazio.