Si presentano in questo dossier due opere dell’ebanista cremonese Giovanni Maffezzoli (1776 – 1818), allievo del grande Giuseppe Maggiolini, e solo recentemente ristabilito nell’autonomia della sua vicenda artistica.
Non sono queste tarsie per mobili ma quadri lignei, dotati di cornici e intelaiati con grande cura tecnica, nati con scopi espressivi e di puro ornamento sin dal loro concepimento. Ma anche nei mobili Maffezzoli predilige i grandi pannelli e l’uso di lastre uniche. Ama le vedute fantastiche e le architetture di reminiscenza classica, le prospettive profonde e le rovine deserte.
La tecnica di Giovanni Maffezzoli, frequentata ma solo eccezionalmente dal suo maestro, è la tarsia per grandi unità e la successiva definizione dei particolari con sapienti bruniture, sfumati di precisione pittorica, profili finissimi ottenuti con una punta sottile. L’occhio viene così ingannato e una figura, a volte fatta da un’unica lastra, è così sapientemente lavorata che le tracce del bulino sembrano linee di suture tra tarsie di essenze lignee diverse. La sapiente arte di Maggiolini, ove il disegno è frammentato in varietà di essenze diverse e poi minuziosamente ricomposto, lascia il passo in Maffezzoli ad una volontà di farsi pittore puro, pittore con il legno, la fiamma, il bulino oltre i limiti del decorativismo e del mestiere.
La prevalenza del disegno e del contorno sull’effetto cromatico dell’intarsio corrisponde all’eccellenza della fonte figurativa da cui derivano le due rappresentazioni storiche. La morte di Socrate e Gli argonauti sono eseguiti infatti su disegno del pittore Giuseppe Diotti (1779 – 1846), erede della concezione classicista del primato del disegno a fondamento delle arti figurative. Il Socrate corrisponde con lievi varianti al foglio dell’Accademia di Brera e alla tela del Museo Civico Ala Ponzone databile al 1809 durante il soggiorno romano. Il quadro degli Argonauti resta per ora privo dell’originale fonte figurativa cui la tradizione lo lega.
I due pannelli appartennero alla raccolta del collezionista milanese Giovanni Edoardo De Pecis e meritarono in un’esposizione milanese del 1813, indetta dall’Istituto Reale delle scienze, la medaglia d’oro dal Vicerè d’Italia, Eugenio di Beauharnais, e sono dunque i prototipi originali delle più tarde repliche di medesimo soggetto già nella collezione Guida.
di Roberto Valeriani