Eliseo Sala
(Milano 1813 – 1879)
Psiche risvegliata da Amore
olio su tavola, cm. 34,7 x 24,6; 1840
Firmato sul retro della tavola: “Sala”
La favola di Amore e Psiche tratta dall’Asino d’oro di Apuleio fu un soggetto frequentemente illustrato dalle arti figurative di orientamento classicista a partire dalla fine del Settecento fino a tutta la prima metà dell’Ottocento, soprattutto in ambiente romano. Per la composizione delle figure – dalla resa del plesso amoroso alla torsione dei busti e delle braccia fino all’incontro dei volti – la tavoletta qui esposta, abbozzata verosimilmente nel 1840, anno del soggiorno romano del pittore, ha un suo modello di riferimento nel celebre gruppo di Amore e Psiche giacenti eseguito da Antonio Canova intorno al 1790 su commissione del colonnello John Campbell e poi acquistato da Henry Philip Hope (oggi al Musée du Louvre di Parigi). Come è noto, ispirandosi al famoso esemplare antico dei Musei Capitolini, qualche anno più tardi (tra il 1796 e il 1803) lo scultore veneto sarebbe ancora tornato sul tema dei due amanti con le due versioni di Amore e Psiche stanti (Pavanello 1976, pp. 102 – 103, nn. 101 e 102), l’una acquistata da Gioacchino Murat nel 1801 (1796 – 1800, Parigi, Musée du Louvre) e l’altra da Joséphine de Beauharnais nel 1802 (1800 – 1802, San Pietroburgo, Ermitage).
Ancora riprendendo il prototipo antico, nel 1807 Bertel Thorvaldsen modellò il gruppo dell’Amore e Psiche riuniti in cielo (Copenaghen, Thorvaldsens Museum), certo riecheggiando quell’esemplare canoviano – testé ricordato nelle due versioni del Louvre e dell’Ermitage – che il danese non aveva esitato a definire simile a “un mulino a vento” (Bjarne Jørnaes, in Roma 1989, p. 143), mentre nel 1810 donò alla baronessa Schubart, in occasione del suo genetliaco, il rilievo marmoreo con Psiche risvegliata da Amore (Copenaghen, Thorvaldsens Museum) inserito poi da Pietro Benvenuti nell’ambientazione scenica del Doppio ritratto dei coniugi Schubart del 1814 (Francesco Leone, in Torino 2003, pp. 225 – 226).
In età di Restaurazione i diversi momenti della favola (dall’ascesa in cielo al risveglio di Psiche cagionato da Amore), o più semplicemente la sola figura della patetica eroina, più incline al sentire romantico, avrebbero trovato ancora notevole diffusione, soprattutto in scultura. Tra gli allievi, più o meno di primogenitura, usciti dagli studi di Canova e Thorvaldsen, si ispirarono al mito – peraltro riedito a Milano per i tipi Ferrario nel 1819 con la traduzione del Fiorenzuola (Mazzocca 1981, p. 171) – sia Pietro Tenerani (dalla prima versione della Psiche abbandonata del 1819 alla Psiche svenuta ideata nel 1822; si veda Elena di Majo, Stefano Susinno, in Roma 1989, pp. 317 – 319; Grandesso 2003, pp. 31 ss.; 79 ss.) che l’altro carrarino Luigi Bienaimé con la Psiche che saggia il dardo di Amore e la Psiche armata (Stefano Grandesso, in Roma 2003c, cat. 44).
Sul versante pittorico l’episodio più rilevante fu certamente la distrutta decorazione ad affresco con episodi tratti dalla storia di Amore e Psiche, eseguita nel 1838 – 1839 dal bergamasco Luigi Coghetti per una stanza al secondo piano del demolito Palazzo Torlonia di piazza Venezia ed inserita in una lussuosa trama decorativa a stucco di Vincenzo Gajassi (Mazzocca 1992, pp. 105 – 122); insieme pittorico a cui va forse riferito il bozzetto di Sala qui esposto. In effetti il pittore milanese, giunto a Roma nel 1840 per un soggiorno di studi, si strinse in amicizia proprio con Luigi Coghetti – allora professore di pittura all’Accademia di San Luca – frequentandone lo studio e magari studiandone gli ultimi lavori in via di completamento di palazzo Torlonia (Mazzocca 2001b, pp. 25 – 26), dove peraltro don Alessandro, nel tentativo di rinnovare i fasti di quella stagione neoclassica segnata dagli interventi di Landi, Palagi e Camuccini, veniva impiegando una schiera di artisti che avrebbero dato vita ad una serie di decorazioni di carattere mitologico e ad un rinnovato clima classico/letterario nei cui confini si iscrive anche questa tavola di Eliseo Sala.
Forse ispirandosi per il soggetto ad uno dei perduti riquadri dedicati da Coghetti alla storia di Amore e Psiche in palazzo Torlonia, Sala – cui un certo turbamento dovettero suscitare le infuocate parole indirizzate nel 1840 da Carlo Tenca e Opprandino Arrivabene (Ibidem, pp. 21 – 27) a quel genere del ritratto cui sino ad allora il pittore si era esclusivamente dedicato (l’unica eccezione era stata la Flagellazione di Cristo esposta a Brera nel ’38; Migliavecchia 2001, pp. 30 – 31) – volle cimentarsi nel quadro di composizione; operazione che l’artista avrebbe peraltro ripetuto, per poi nuovamente accantonarla in favore della ritrattistica, all’esposizione braidense del 1841, significativamente al rientro da Roma, con il dipinto di Elmegisto che costringe Rosmonda, che l’ha avvelenato, a perire di spada o di veleno (ivi).
Francesco Leone