Lorenzo Bartolini

Savignano di Prato 1777 – Firenze 1850

La Donati • 1846 ca.

Marmo di Carrara, altezza 97.5 × 40.5 × 22.5 cm

Appoggiata a un supporto squadrato di vaga foggia medievale sulla cui base è inciso il titolo dell’opera, una giovane donna nel fiore degli anni, lo sguardo soffuso di turbamento e al medesimo tempo conturbante, volge il capo verso sinistra mentre con le braccia cerca di coprire la propria nudità. La spontaneità del suo gesto, così profondamente umana, e l’espressione dibattuta, sono perfettamente intonate al soggetto che essa impersona, a conferma del procedimento creativo di Bartolini il quale, una volta individuato il ‘concetto’, lo svolgeva in maniera semplice e piana, scegliendo «le linee più armoniche della Natura» in un continuo e meditato confronto con il modello vivente[1].

La scultura è la redazione in formato ridotto dell’opera eseguita per la contessa russa Ol’ga Orlova. È ben noto come nel 1838 la contessa, presa d’ammirazione per le opere di Lorenzo Bartolini, chiedesse allo statuario «une belle statue de femme, de grandeur naturelle et nue. Quelque chose, infin», che possedesse la grazia della Ninfa dello scorpione[2] che ella aveva potuto osservare con agio nello studio dello scultore mentre questi eseguiva il ritratto di lei e del figlio Nikolaj.

L’artista si risolse a concepire una Ritrosa, tema accolto con favore dalla committente che nel 1843 accettò di buon grado il mutamento del soggetto in quello della Donati, la fanciulla fiorentina la cui bellezza – mostrata con malizia al Buondelmonte – fu all’origine delle lotte tra guelfi e ghibellini. Il cambiamento del titolo, ispirato a un episodio delle Istorie fiorentine di Giovanni Villani, dipese forse dalla volontà di rendere più chiaro e attuale il significato della statua, riconducendolo a un contesto letterario caro alla cultura del romanticismo storico, o forsanche dal commento severo espresso dalla marchesa Rosina Trivulzio Poldi Pezzoli riguardo a quella figura di «donna in atto di coprirsi, scoprendo ad arte quelle parti che più importerebbe al pudore di coprire»[3].

Con il nuovo titolo, il tenore poetico e sensuale del ‘nudo’ declinato secondo valori morali riconducibili all’innocenza insidiata, come sovente in Bartolini, veniva calato in un soggetto consono alla mentalità dell’epoca, senza per questo che ne fosse attutita la palpitante sensazione di «natura viva» ricercata e imitata dall’artista «con facilità e con rara semplicità», studiando «l’uomo creato da Dio»[4].

Nel dicembre 1845 la scultura era terminata e all’inizio dell’anno seguente intraprendeva il lungo viaggio verso la Russia, non prima, però, che lo statuario ne avesse fatto trarre due calchi in gesso, uno a spese del Governo, destinato all’Accademia di Belle Arti di Firenze cui tuttora appartiene, e il secondo per il proprio atelier; è da quest’ultimo che nei primi mesi del 1846 venne tratto il modello formato in gesso di dimensioni ridotte – oggi disperso, ma conservato fino al 1931 nella gipsoteca bartoliniana ospitata nell’ex convento fiorentino di San Salvi – utilizzato per la realizzazione di una versione in scala ridotta della scultura rammentata da Bartolini in una lettera all’allievo e collaboratore livornese Enrico Mirandoli, spedita nel luglio di quell’anno[5]. «Il nome della piccola Brioche è la Donati, la quale in grande andò a Pietroburgo», scriveva lo statuario all’amico Mirandoli, ricorrendo al vocabolo francese con il quale chiamava abitualmente la scultura, forse perché allusivo, nella sua accezione gergale di gaucherie, al significato dell’opera[6].

La «piccola» Donati in questione era con ogni probabilità quella acquistata nella primavera del 1846 dal principe russo Wasilij Golicyn, già addetto presso la legazione russa a Firenze e marito di Sof’ja Alekseevna Korsakov ammiratrice di Bartolini e a sua volta committente di una replica ridotta della Baccante a riposo (di cui però poi disdisse l’esecuzione)[7]. La scultura, conservata in Russia fino a tempi recenti, è assai plausibilmente identificabile con la nostra statua, e quasi certamente con l’opera in seguito entrata nella collezione del pietroburghese Jurij Brystov.

La tenerezza del modellato e la delicata resa dell’epidermide infondono alle forme avvenenti della Donati, sfiorate da lievi passaggi chiaroscurali, una naturalezza toccante. È con cura affettuosa che Bartolini traspone nel marmo, quasi accarezzandolo, le fattezze di quel nudo giovanile appena sbocciato, di cui descrive l’ossatura minuta, la rotondità delle natiche, le morbide pieghe della carne, fino a ottenere un’immagine sorprendentemente ‘vera’, esemplificativa della costante attenzione del lo scultore al dato naturale temperato dal sentimento per il bello e dalle riflessioni sull’antico mediate dall’arte del Quattrocento toscano.

Silvestra Bietoletti

[1] L. Bartolini, Al Signor D. Zanelli, «Giornale del Commercio», V, 34, 24 agosto 1842.

[2] M. Tinti, Lorenzo Bartolini, 2 voll., Reale Accademia d’Italia, Roma 1936, II, pp. 84-85, n. XVI.

[3] Vedi F. Sandrini, Il carteggio Bartolini-Toschi e il mecenatismo di Rosina Trivulzio nei documenti del Museo Glauco Lombardi di Parma, in Lorenzo Bartolini. Atti delle giornate di studio, a cura di S. Bietoletti, A. Caputo, F. Falletti, Firenze, 17-19 febbraio 2013, Pistoia 2014, pp. 115-130, p. 126, p.130 nota 69.

[4] L. Bartolini, cit.

[5] Vedi S. Pinto, in Lorenzo Bartolini. Mostra delle attività di tutela. Celebrazioni di Lorenzo Bartolini nel bicentenario della nascita 1777-1977, catalogo della mostra (Prato, Palazzo Pretorio), Firenze 1978, pp. 62-63, n. 20.

[6] La lettera di Bartolini a Mirandoli, datata 7 luglio 1846, è conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze: BNCF, Tordi 540, 21, 6.

[7] A. Caputo, S. Melloni Franceschini, Lorenzo Bartolini. Nuove prospettive fra Carrara e Firenze, Lucca 2016, p. 178.

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